Amore e filosofia

Un legame molto forte unisce filosofia e amore. Dopo tutto “filosofia” vuol dire letteralmente “amore per il sapere”. Già, ma che tipo di sapere ama il filosofo? E, domanda ancora più interessante, ama un sapere che già possiede oppure ama il sapere perché ne è privo e per questo lo ricerca come un innamorato cerca spasmodicamente il suo oggetto d’amore? 

Nel “Simposio” Platone offre, per bocca di Socrate, una perfetta spiegazione di come la filosofia, al pari dell’amore, consista nell’andare alla ricerca di un qualcosa che possa completarci. Il “Simposio” è uno dei dialoghi più conosciuti di Platone, nel quale il filosofo ateniese, facendo interagire tra di loro durante un banchetto alcuni dei più importanti intellettuali dell’Atene del V-IV secolo a.C., espone la sua teoria sull’Eros, ossia sull’amore. 



Copertina de “Il Simposio” di Platone,
ed. Laterza

Dopo gli interventi di Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane e Agatone, è il turno di Socrate che anche in questo caso, come in tutti i dialoghi di Platone, espone il punto di vista dell’autore. A differenza di tutti gli interventi dei precedenti interlocutori che si sono concentrati soltanto sugli aspetti più belli ed edificanti di Eros, il contributo di Socrate è controcorrente e per questo molto interessante perché Amore, egli dice, “è amore di molte cose”, in particolare “di ciò di cui si avverte la mancanza”. Socrate quindi parte dal presupposto che all’origine del sentimento d’amore non vi sia alcunché di nobile, di alto, ma soltanto il desiderio che si prova nell’impossessarsi di qualcosa di cui ci si sente privi.

A questo punto inizia il discorso di Socrate sull’amore, che il filosofo presenta come frutto dell’insegnamento che ricevette dalla sacerdotessa di Mantinea, Diotima, per la quale Amore “non è né bello […] e neanche buono”, ma fu concepito da Penìa (Povertà) e Pòros (Espediente). Quest’ultimo, come racconta la sacerdotessa, fu abusato da Penìa mentre dormiva ubriaco durante il banchetto che gli dèi tennero per festeggiare la nascita di Afrodite. Secondo questa versione quindi Eros non sarebbe affatto un dio, ma un demone, che nella tradizione dell’antica Grecia è un essere a metà strada tra il divino e l’umano, e che quindi possiede gli aspetti positivi della divinità e gli aspetti negativi dell’umanità.
Socrate, riportando le parole di Diotima, rivela che anche lui, come molti altri, era caduto nell’errore di considerare Eros come uno degli dèi più belli dell’Olimpo. Questa incomprensione per il filosofo deriva dal fatto che tutti tendono ad identificare Amore con l’amato e non con l’amante. L’amato, che rappresenta l’oggetto d’amore, è in sé compiuto, perfetto ed è per questo motivo che suscita le attenzioni dell’amante, che invece è incompiuto e imperfetto. Quindi Eros, lungi dall’essere bello e splendente, è lercio e sgraziato – elementi che gli derivano dalla natura materna – ma è anche astuto, audace e pronto ad escogitare stratagemmi per arrivare ad ottenere ciò che desidera – elementi questi che invece gli derivano dalla natura paterna.

Quindi Eros “per natura non è né immortale né mortale, ma ora fiorisce e vive nello stesso giorno, quando gli va in porto, ora invece muore e poi rinasce nuovamente” (“Simposio”, 203e). In quanto figlio di questi genitori quindi, Eros è privo del possesso dell’amato, ma dispone di tutte le risorse per cercare di conquistarlo. 



“Il Simposio di Platone”, dipinto di Anselm Feuerbach (1869)

La sua condizione di demone, a metà strada tra il mondo degli dèi e quello degli uomini, lo colloca in una sorta di limbo e Platone, attraverso Socrate, paragona la sua condizione a quella del filosofo. Anch’egli, come Amore, si colloca nel mezzo, nel suo caso a metà strada tra ignoranza e sapienza. In tutto questo discorso è centrale la categoria del metaxý (μεταξύ), ossia dell’intermedio tra due estremi. Platone, partendo da questo presupposto, intreccia un gioco di rimandi e corrispondenze tra varie sequenze di concetti: uomini – demoni – dèi, povertà – amore – ricchezza e, infine, ignoranti – filosofi – sapienti. Proprio come la condizione di Eros, che è la condizione dell’amante, così anche quella della filosofia è descritta come una condizione di povertà, come una mancanza di sapere, ma che è al tempo stesso desiderio da parte del filosofo  di impadronirsi di questo sapere. Come l’amante escogita delle strategie per fare breccia nel cuore dell’amato per arrivare a possederlo, così il filosofo tenta di ottenere ciò di cui è privo: la conoscenza. 

Per Platone quindi il filosofo non è né il sapiente né l’ignorante, perché entrambi non ricercano il sapere: il primo perché già lo possiede, il secondo perché non né interessato. Il filosofo invece, per via del suo essere a metà strada, desidera il sapere che ancora non possiede, proprio come l’amante desidera ciò che ama e ancora non possiede. Il filosofo e l’amante sembrano condividere quindi lo stesso destino: desiderare ardentemente qualcosa che ancora non possiedono. Ma è proprio questo sentirsi incompiuti che ci spinge ad amare e che ci spinge a conoscere ed ecco perché, come ha intuito brillantemente Platone, filosofare non è poi tanto diverso dall’amare.  

Giuseppe D’Alto

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