Beda e la storia

Beda, nato a forse Jarrow (nell’attuale Inghilterra) nel 672 o 673 d.C., è considerato il più importante scrittore latino dell’Inghilterra anglosassone. E’ stato definito “il Venerabile” ad indicare l’autorità religiosa a lui attribuita. Sappiamo che passò praticamente tutta la sua vita in un monastero; eppure, riuscì ad acquisire una cultura sterminata. La quantità della sua produzione letteraria è straordinaria: si è dedicato all’attività esegetica, ha scritto molti manuali sulle arti liberali e cronache, ma l’opera per la quale va maggiormente ricordato è di natura storiografica: l’Historia ecclesiastica gentis Anglorum, cioè la Storia ecclesiastica del popolo degli Angli.

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Ph. Michael D. Beckwith, Abbey Lane, Whitby (UK) 
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In quest’opera Beda racconta in cinque libri la storia della Gran Bretagna dall’arrivo dei Romani sino ai suoi tempi. Non è un caso che abbia scelto questo come inizio della sua narrazione: infatti egli interpreta in chiave provvidenziale la storia della sua terra, secondo una visione ereditata da Orosio per la quale i Romani sono il popolo predestinato a portare la buona novella nel mondo. I cinque libri sono preceduti da una Praefatio in cui l’autore indica il dedicatario dell’opera, ovvero Ceolwulf, il re di Northumbria, verso il quale il nostro autore mostra un certo apprezzamento circa la passione per la conoscenza delle mirabili imprese di uomini illustri. Qui Beda fa una considerazione significativa sull’importanza di conoscere i fatti del passato:

Siue enim historia de bonis bona referat, ad imitandum bonum auditor sollicitus instigatur; seu mala commemoret de prauis, nihilominus religiosus ac pius auditor siue reader decide quod noxium est ac peruersum, ipse sollertius ad exsequenda ea quae bona ac Deo digna esse cognouerit, accenditur.

La storia quindi, secondo Beda e molti altri storici classici, ha una funzione morale: la narrazione di eventi positivi può incoraggiare una persona a imitarli, e la narrazione di eventi negativi può dissuaderla dal farli.

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Ph. Benjamin Elliott, Bamburgh Castle, Northumbria
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In conclusione alla prefazione, Beda, per fugare ogni dubbio sulla veridicità dei suoi racconti, cita le sue fonti in modo molto preciso e mostra di avere un metodo storiografico rigoroso. La Praefatio si conclude con un appello ai lettori: “ut meis infirmitatibus et mentis et corporis apud supernam clementiam saepius interuenire meminerint” e poi inizia l’esposizione dei fatti storici. 

Infine, nell’ultimo capitolo del libro V, il 24, fa una recapitulatio chronica, che non si configura come una sintesi del contenuto dell’opera, ma piuttosto come “una serie di annali pasquali”, e sempre in quel passo, dopo aver detto che avrebbe potuto scrivere la Storia grazie all’aiuto di Dio e – come aveva già affermato nella Praefatio – delle opere antiche, dei racconti degli anziani e della sua esperienza personale, ci racconta qualcosa di sé.
Si narra che entrò nel monastero di Wearmouth all’età di sette anni e che trascorse tutta la sua vita lì e nel vicino monastero di Jarrow, entrambi fondati dal suo maestro Benedetto Biscop. Beda dedicò la sua vita allo studio delle sacre scritture e sostiene di aver sempre voluto  aut discere aut docere aut scribere. Parla anche della sua carriera ecclesiastica: all’età di diciotto anni era diacono, undici anni dopo sacerdote e da lì fino all’età di cinquant’anni afferma di aver composto opuscoli sulle sacre scritture che poi elenca di seguito. Conclude il suo ultimo libro con una preghiera a Cristo in cui gli chiede di poterlo raggiungere quando arriverà il suo ultimo giorno. E’ un’opera, dunque, che è piena espressione del contesto in cui è stata scritta e che durante il Medioevo godette di una grande fortuna. 

Giulia Novelli

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