Benevento, città delle streghe

Perché Benevento è considerata la città delle  streghe? Si dice che alcune fanciulle, dette “Janare” (termine che deriva probabilmente da Dianara, cioè sacerdotessa di Diana), usassero testimoniare la loro devozione alla terra e alla luna con alcuni riti pagani celebrati sulle sponde del fiume Sabato e che danzassero e recitassero incantesimi per mano intorno a un albero di noce, il Noce di Benevento.

In origine il nome di questa città era Maleventum, per via di queste altre leggende che circolavano sul suo conto, e ancora oggi la città campana, sebbene sia stata ribattezzata con un nome più propizio, ha molto da raccontare. 

Molti artisti e letterati hanno creato opere a riguardo, definendo il luogo come il punto di incontro italiano delle streghe, confondendo così le fonti che ondeggiano tra l’immaginario e la realtà.

Iniziamo dall’iconografia: il simbolo della città è un cinghiale in relazione al mito greco di Diomede, secondo cui l’eroe, finita la guerra di Troia, si insediò a Benevento portando con sé le zanne del famoso Cinghiale Calidonio, inviato dalla dea Diana a distruggere i campi del re di Calidone, Oineo. Costui, sebbene molto ricco, aveva oltraggiato la dea non compiendo le tradizionali e annuali offerte votive a lei dedicate.

Classicità e leggenda. Il mito sulla città è stato in seguito alimentato con piccoli aneddoti soprattutto sulle streghe, ma è dalle testimonianze della storia antica che possiamo ritrovare i primi segnali di una tradizione dura ancora a morire. Vediamone gli albori.

In epoca longobarda anche se quasi tutta la popolazione si era convertita al cristianesimo, era ancora molto diffuso il culto pagano, in particolare quello della dea Iside, la regina una e trina e dea della Luna. Questa dea era adorata anche dagli antichi Romani proprio con il nome di Diana nella sua forma terrestre, con il nome Selene nella sua forma celeste e con il nome di Ecate quando le sue sembianze erano infernali. 

Va letta in quest’ottica la lotta dell’Inquisizione del cattolicesimo contro ogni forma residua di paganesimo che ne ostacolava la diffusione e la conseguente e insensata caccia alle streghe che, nel 1486, si concretizzò maggiormente a causa dell’editto Malleus Maleficarum. Questo editto fu proclamato in Germania e pare non essere mai stato adottato ufficialmente dalla Chiesa, ma di fatto proibiva ogni forma anticlericale e spiegava ai fedeli come riconoscere le janare, donne che non sottostavano alla legge divina e che insidiavano le case. 

In Italia, invece, è proprio la città di Benevento il luogo in cui sono stati ritrovati più di 200 verbali di processi per stregoneria. La filastrocca recitata in cerchio intorno all’albero di noce era la seguente:

‘nguento ‘nguento,
Mànname a lu nocio ‘e Beneviento,
sott’a ll’acqua e sotto o viento,
sotto a ogne maletiempo

Illustrazione tratta da Enrico Isernia, “Istoria della città di Benevento
dalla sua origine fino al 1894”, Vol.I, pag. 214

 

Tale unguento doveva essere forse una sostanza allucinogena, ma era credenza popolare identificarlo come pinguedo puerorum, cioè una crema fatta con il grasso dei bambini, superstizione legata anche all’etimologia del termine “strega”. Il sostantivo, infatti, deriverebbe da strix, un uccello mitologico che aveva un seno simile a quello di una donna che però era colmo di veleno e serviva ad uccidere i bambini e a succhiarne poi il sangue. 

Ma le donne così definite, misteriose e in quasi tutte le culture a noi note particolarmente sagge, non avevano però sempre un’accezione negativa: esse avevano una conoscenza profonda in particolar modo di botanica ed erbe aromatiche, tanto da essere espertissime nella composizione di medicine, filtri incantati e pozioni guaritrici.

E arriviamo ad un ultimo collegamento con la città di Benevento. Qui si produce la bevanda più celebre a base di finocchio, menta, zafferano (e circa altre settanta specie di piante): il liquore Strega della ditta Alberti, giallo come un topazio imperiale, che la tradizione vuole fosse un antico elisir d’amore fatto dalle streghe del paese, con una ricetta ancora oggi segretissima.

‘Un sorso ammalia, il secondo strega’.

Poster pubblicitario del liquore Strega del 1951

Alessandra Busacca

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