Black Lives Matter

Lunedì 25 maggio. La polizia americana ha ucciso. George Floyd. Quarant’anni. Afroamericano. È successo a Minneapolis, in Minnesota: un uomo steso a terra ammanettato, il poliziotto sopra di lui che preme il ginocchio sul collo.

Niente di nuovo sotto il cielo. La polizia – soprattutto statunitense – ha da sempre un problema con la violenza e con il razzismo. Da un’analisi statistica pubblicata da Statista Research Department emerge che, fino a marzo 2020, 228 cittadini americani sono stati uccisi con un colpo di pistola dalla polizia. Di questi, 31 erano afroamericani. Ma il dato prende in considerazione solo coloro morti per arma da fuoco. Nel 2019 i casi di police brutality sono stati 1004, mentre nel 2018, 996. Si stima inoltre che gli afroamericani di sesso maschile abbiano una probabilità di morire per mano della polizia compresa tra 1,9 e il 2,4% all’anno, mentre i latinoamericani tra lo 0,8 e 1,2%. I bianchi “soltanto” tra lo 0,6 e 0,7%.

Numero di persone uccise dalla polizia in USA con un’arma da fuoco tra il 2017 e 2020, Statista Research Department

L’omicidio di George Floyd durante un fermo di polizia si aggiunge dunque alla collezione di morti per mano della polizia. Basti ricordare l’uccisione di Mike Brown Jr. a Ferguson in Missouri. O quella di Laquan McDonald a Chicago. O ancora, i cinque colpi di pistola sparati a bruciapelo contro Pamela Turner, in Texas. E infine il soffocamento, molto simile a quello di Floyd, di Eric Garner a Staten Island.

Nel luglio 2013 a seguito dell’assoluzione per legittima difesa di un agente di polizia per l’omicidio di un diciassettenne afroamericano, Trayvon Martin, tre donne afroamericane lanciarono su Twitter l’hashtag #BlackLivesMatter. Nel giro di poco tempo tale slogan divenne virale al punto tale che BLM si trasformò in un vero e proprio movimento online. In risposta agli omicidi di Eric Garner e Mike Brown Jr. nel 2014 il movimento scese in piazza. Tra il dicembre del 2014 e il 2015 cortei di migliaia di persone sfilarono per le strade di New York, Ferguson, Los Angeles, Cleveland e Staten Island al grido di “le vite dei neri contano”, “non sparare” e “non riesco a respirare.” Proprio quest’ultimo slogan sembrerebbe essere la frase pronunciata da George Floyd poco prima di morire soffocato.

Il logo ufficiale del movimento “Black Lives Matter”

A distanza di sei anni dalla nascita del movimento Black Lives Matter, il controllo verso l’operato della polizia americana sembra essere più stringente tra cop watching e body camera, mentre un numero sempre maggiore di afroamericani decidono di entrare in polizia per scongiurare il razzismo endemico nel corpo stesso.

Tuttavia, le morti per mano della polizia bianca nei confronti di neri, latini e working class continuano ad aumentare, l’America è governata da un suprematista bianco che ha tacciato i militanti di BLM come terroristi e nemici, le diseguaglianze tra bianchi e neri si acuiscono sempre di più, le popolazioni afroamericane e latine risultano essere quelle più colpite dal Coronavirus.

Insomma, la strada da percorrere è ancora lunga e l’omicidio di George Floyd non fa altro che confermarcelo.  

Francesca Busacca

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