Nietzsche aveva inteso il nichilismo, all’interno del suo percorso di pensiero, come una condizione provvisoria dell’uomo. Sarebbe spettato al soggetto, tramite la sua trasformazione in Übermensch, e attraverso la sua azione di libera creazione di nuovi valori, superare questa angosciosa ma necessaria fase della vicenda umana. Tuttavia il soggetto non è stato in grado di compiere questo superamento. La cattiva notizia per Nietzsche è che il soggetto si è arenato: non soltanto non è riuscito ad andare oltre la sua condizione “umana, troppo umana”, ma ha anche accettato in maniera consapevole il nichilismo, abbellendolo con i prodigi offerti dalla tecnica.
Il sistema capitalistico, ossia il sistema economico ormai dominante nella società moderna, rappresenta il vero volto e il vero nome del nichilismo, reso appunto, come già detto, di bell’aspetto. Prima di andare avanti e di individuare il legame che collega capitalismo e nichilismo, è opportuno chiarire che cosa si intende con il termine “capitalismo”.
Illustrazione di Steve Cutts, “The Branded Brain” (2017)
Il capitalismo è un sistema economico che pone al centro dell’attenzione il capitale (quindi il denaro, un valore di scambio) e non il bene (merce, valore d’uso). Ne consegue che la centralità del capitale (o del denaro) comporta che il meccanismo degli scambi sia organizzato in maniera tale che possa funzionare e continuare a funzionare efficacemente anche in assenza di determinati accordi politici. Il capitalismo è, essenzialmente, un sistema economico apolitico che ha bisogno della politica soltanto per la creazione di regole di mera condotta (ad esempio, la tutela della proprietà).
In un sistema capitalistico, infatti, ciascuno può esercitare i propri talenti vendendoli sul mercato e ottenendo beni attraverso un capillare sistema di scambi. A differenza di altri tipi di economia presenti in passato quindi, il capitalismo non è direttamente controllato dagli organi politici: esso è un’entità parallela che è stata creata dagli stessi soggetti che adesso, per ironia della sorte, controlla. Nonostante i suoi aspetti negativi, il capitalismo non può essere letto come una sorta di incidente della storia: esso è infatti una realizzazione storica emersa spontaneamente e che si è progressivamente imposta grazie ad alcuni suoi specifici pregi.
Il capitalismo si inserisce infatti in una tradizione specificatamente occidentale, caratterizzata dalla maturazione di specifiche tecniche, dalla scrittura alfabetica, dalla numerazione posizionale, dalla stampa, e che ha favorito l’imporsi di forme di governo democratiche (il libero scambio, elemento cruciale del capitalismo, è possibile soltanto in regimi politici democratici, non in autarchie e totalitarismi dove invece vi è la statalizzazione dell’economia).
Ma questo non significa che il sistema capitalistico debba essere santificato a tutti i costi. Gli effetti negativi del capitalismo sono meno ovvi di quanto si pensi e per questo più insidiosi: essi sono portatori di una crisi, che non è soltanto economica, ma che inficia soprattutto il sistema dei valori dell’individuo. Le relazioni sociali in un regime capitalistico educano ad una forma mentis indirizzata al perenne “rinvio all’appagamento”, all’accrescimento indefinito dei mezzi, che non comporta però una comprensione dei fini. Non è la tecnica o la produzione di strumenti più efficienti a portare al nichilismo, ma la struttura di un sistema incentrato sulla mera potenzialità fine a se stessa.
È importante riflettere su un aspetto interessante del discorso. Oggi ci si lamenta che la società promuove l’immagine e la superficialità e che sempre più giovani sono attratti da questi modelli e li fanno propri; ma a pensarci, in una società come quella di oggi, volta al consumo e all’immediato, sarebbe strano il contrario, dato che è la stessa struttura della nostra società ad alimentare e promuovere l’attrazione per la superficialità. È interessante notare come la logica capitalistica sia stata in un certo modo aiutata e alimentata dal nichilismo e dal relativismo che hanno imperversato in Occidente soprattutto nella seconda metà del ‘900. Il fenomeno nichilistico ha preso piede e si è radicato nella sua forma di nichilismo passivo, cioè nella sua “pars destruens”, non riuscendo poi ad evolversi in nichilismo attivo, che rappresenta invece quell’atteggiamento capace di far fronte, tramite l’azione, alla presa di consapevolezza della nullificazione di tutti i valori. Non è infatti banale considerare il Novecento come il secolo della decadenza spirituale dell’uomo, come un secolo di paure e terrori, come smarrimento dell’umanità in una terra oramai desolata in cui l’uomo si interroga su di sé e sul mondo che lo circonda senza riuscire a trovare però alcuna risposta.
Le vecchie catene metafisiche sono state spezzate e ciò è stato accolto con gioia, ma ve ne erano all’orizzonte altre più oscure pronte ad incatenare l’uomo ad una nuova prigionia. Avendo infatti l’uomo oramai perso ogni punto di riferimento, di stabilità e ogni possibilità di conoscere una verità assoluta, esso si è dato per vinto, si è arreso e non è riuscito ad affrontare coraggiosamente il nulla, come ha lucidamente scritto Gomez Dàvila: “Per evitare un confronto virile con il nulla, l’uomo erige altari al progresso”.
Nicolas Gomez Dàvila fotografato nel suo studio
Il confronto con il nulla è un peso atroce e insopportabile; pertanto l’uomo contemporaneo lo rifugge, preferendo piuttosto cullarsi con il progresso materiale e tecnologico in un mondo parallelo. La tecnica sembra essere la giusta direzione, il giusto strumento per riempire la grande mancanza spirituale dell’uomo di oggi.
Nietzsche in un contesto del genere potrebbe legittimamente chiedersi: “Che cosa se ne è ricavato dall’uccisione di Dio?”. La risposta è questa: l’uomo si è svincolato da ogni catena secolare che lo ha limitato ed è libero di indirizzare il proprio agire. Fin qui le aspettative di Nietzsche risultano realizzate. Tuttavia ciò ha comportato due importanti frenate verso la piena e libera realizzazione dell’individuo. Una delle due era stata in un certo senso profetizzata da Nietzsche: l’uomo si trova ormai solo nel mondo, è un atomo sperduto in un Universo infinito.
Questo angosciante stato di cose poteva essere, se non aggirato, quanto meno accettato tramite un modo migliore di indirizzare la proprio libertà e di forgiare il proprio destino. Ma il secondo errore dell’uomo è stato accontentarsi di questa libertà, aver accettato questo stato di cose e aver considerato la libertà ottenuta come mero fino e non come mezzo per indirizzare la propria esistenza, e la tecnica e il capitalismo hanno avallato questa presa di posizione.
Siamo liberi e possiamo fare e creare tutto quello che vogliamo, ma dove ci condurrà tutto ciò? Questo è il grande dubbio inevaso, la domanda alla quale l’uomo contemporaneo non sa e non può rispondere. E in ultima analisi anche l’interesse per aver raggiunto la libertà scemerà e si dissolverà, perché, come scriveva Gomez Dàvila (“Escolios a un texto implícito”, 1977) “coloro che prendono la libertà come fine, quando la ottengono, non sanno che farne”.
Giuseppe D’Alto