Una sorellastra di Cenerentola si tagliò l’alluce del piede per calzare alla perfezione la scarpa di cristallo, Barbablù decapitò le sue bellissime mogli raccogliendone le teste dai lunghi capelli in una torre, la sirenetta si uccise per salvare il suo principe e si trasformò nella schiuma del mare.
Le favole di un tempo erano crude, violente, ma molto veraci.
Come quelle del secondo film di Fabio e Damiano D’Innocenzo, appunto “Favolacce”.
Dettaglio della locandina del film “Favolacce” dei fratelli d’Innocenzo
I primi piani di grosse formiche su una trave di legno, qualche fetta biscottata bruciacchiata, il tappo a stella di una birra, un accendino grigio, una piscina abbandonata sotto la pioggia: questi sono alcuni dei frames iniziali che ammaliano come un incantesimo e diventano il passaporto visivo per entrare lì dove accadono storie tra il reale e l’irreale, narrazioni dai diari di una bambina scritti in penna verde “dalla calligrafia acerba e sognante” le cui pagine sono tutte lì da guardare, come se fossimo un pesce rosso sperduto in una enorme bolla d’acqua.
La storia racconta l’intreccio delle vite di più famiglie che vivono poco fuori Roma, a Spinaceto, in villettine a schiera con il giardino. Sotto la noia e la finzione borghese, i genitori di ogni nucleo familiare sono vuoti, dilaniati dalla mancanza di vere emozioni e incapaci di provarne, continuamente in maschera sul palco delle buone maniere. I figli sono ai loro occhi esseri inconsistenti come fantasmi, con caratteri incerti e fragili ma vigili sul mondo che li circonda. Si sentono in trappola, prigionieri nel loro stesso corpo da cui riusciranno finalmente a liberarsi…o forse no?
La ring composition della pellicola è una soluzione registica molto interessante: assale lo spettatore di dubbi, lo immerge ancora di più in una dimensione onirica, abbandonandolo a ricordi personali, a una “fanciullesca inconsapevolezza su cui meditare”, a riflessioni morali o semplicemente a constatare che l’infanzia non è un’età dell’oro per tutti.
Frame tratto dal film
Eppure, quasi come aneliti di speranza, alcune scene che vediamo girate a rallentatore in “Favolacce” sono proprio ritagli di felicità che molti di noi, bambini solo un po’ cresciuti, abbiamo vissuto: i palloncini colorati ad un compleanno o la fine della scuola, una doccia ghiacciata, i tuffi in piscina e la merenda con sciroppo alla menta e kinder paradiso. Il tempo dilatato di scene come queste si annulla però subito nell’immediatezza di un gesto violento o accompagnato da un je ne sais quoi di angoscioso, alla nouvelle vague, come se qualcosa da un momento all’altro potesse sempre succedere. Il taglio di capelli, la nuotata al mare, il giardino allagato.
La sceneggiatura, non a caso premiata al Festival di Berlino 2020, è un buco nero senza spazio e senza tempo, realtà di ieri, di oggi e di domani, magia della duplice potenza narrativa dei registi, che come Castore e Polluce, non smettono di consegnarci la loro luce. E allora “ricominciamo da zero”.
Frame tratto dal film
Alessandra Busacca
Le favole, come si intendono oggi, sono una distorsione dei fatti come sono realmente accaduti