Una delle caratteristiche fondamentali del Medioevo è la centralità della scrittura religiosa.
La Sacra scrittura racchiude la Rivelazione e dunque tutto ciò che è necessario all’uomo perché si salvi. Il testo sacro contiene dei segni che vanno tradotti in parola e anche la parola è segno.
«La pagina sacra sia il libro che ti consente di udire queste cose, il mondo sia il libro che ti consente di vederle. Nei codici le possono trovare soltanto coloro che sanno leggere: nella totalità del mondo può leggere anche l’ignorante», con queste parole Agostino crea l’immagine della natura come libro ed è una considerazione emblematica del modo in cui l’uomo medievale vedeva il mondo.
Il mondo, come la pagina scritta delle Sacre scritture, è costellato di infiniti segni, simboli che vanno compresi e studiati. Il segno, dice sempre Agostino: “est enim res praeter speciem, quam ingerit sensibus, aliud aliquid ex se faciens in cogitationem venire”.
Non tutte le cose sono segno, evidentemente, ma gli animali sì. Gli animali hanno da sempre accompagnato l’uomo e le sue arti, ma nel Medioevo occupano una posizione particolare.
Sono appunto segni di una qualcos’altro, hanno una forte valenza simbolica e poco importa se essi siano reali o immaginari: godono entrambi della stessa natura di simbolo. L’interesse per l’animale reale sarà una conquista lenta e tarda del Medioevo.
Gatto. “Liturgia delle ore”, XVI secolo, Francia, Bibliothèque de l’Arsenal, Ms 654, fol. 5r.
L’animale nel Medioevo è specchio nitido dell’uomo, ne riflette le virtù e i vizi ed è guardato spesso con diffidenza e timore. Una tendenza esegetica generale è quella di raggruppare gli animali all’interno di una interpretazione morale e religiosa, suddividendoli in due categorie opposte, quella di Cristo e quella di Satana. Qui si coglie bene la natura manichea del cristianesimo.
Capita tuttavia che uno stesso animale in un’occasione sia simbolo positivo e in un’altra situazione sia negativo, per il principio della bivalenza simbolica che, come dice Jacques Le Goff, governa l’attitudine intellettuale dell’uomo medievale.
Un genere letterario tipico della cultura medievale è il bestiario, vale a dire un testo di carattere didattico e allegorico, dalla forma enciclopedica, che racchiudeva in sé descrizioni di animali reali o immaginari. Queste descrizioni contenevano talvolta informazioni scientifiche o comunque denotavano un interesse verso il comportamento biologico dell’animale, ma erano sempre affiancate da un’analisi della natura simbolica della bestia, con citazioni dei passi biblici in cui l’animale era menzionato.
Unicorno. British Library, Royal MS 12 F. xiii, fol. 10v
La fonte principale del genere dei bestiari è il “Fisiologo”, un trattato di carattere zoologico e allegorico redatto in greco ad Alessandria d’Egitto probabilmente tra il II e il III secolo d.C.
L’opera ha la forma di un manuale dalla struttura aperta, suscettibile di essere ampliata e modificata. Così l’ordine dei capitoli è casuale. In questo testo sono presi in considerazione circa quaranta animali (e anche, in minima parte, piante e pietre) dei quali è data prima una descrizione fisica, introdotta da formule fisse quali: “Physiologus dicit”, “Physiologus narrat”, “Physiologus monet”, seguita da una spiegazione tipologica o morale della bestia, corredata da una citazione scritturale. Spesso la trattazione dell’animale si concludeva con l’altra formula ricorrente: “bene disse il Fisiologo”.
Spiega Franco Cardini che “si fondava in tal modo una tipologia cristiana dell’animale, scopo della quale era l’associazione di un’immagine zoologica e di un’idea cristologica”.
Chi sia questo “o φυσιολόγος” ci è ignoto, però sappiamo che non dobbiamo ritenerlo “un semplice naturalista ma un esegeta della natura secondo i canoni della fede cristiana”.
Infatti, il termine “physiologia” nella scuola alessandrina d’ambito cristiano ha il significato di iniziazione all’intelligenza delle Scritture che avviene attraverso la conoscenza dei segni, ossia di tutti gli elementi del Creato. Infatti, la realtà, secondo l’idea platonico-cristiana, è segno, immagine di una realtà altra, sovrasensibile. Ma, come osserva Francesco Sbordone, “non tutti i capitoli del “Physiologus” contengono veri e propri simboli religiosi: molti altri si limitano ad illustrare caratteristiche buone o cattive dei vari animali, dalle quali l’allegorista prende le mosse per esortare i fedeli alla osservanza dei doveri cristiani, alla lotta contro le tentazioni, all’amor filiale, alla castità, alla fermezza ecc.”.
Queste visioni e interpretazioni degli animali sono, come abbiamo visto, impregnate di cristianesimo e per questo ci possono risultare distanti e lontane, anche se forse non lo sono poi così tanto… Se pensiamo, ad esempio, alla colomba ci viene spontaneo attribuirle un significato di segno positivo, mentre il serpente lo associamo facilmente alla sfera negativa. Sono due piccoli esempi che ci mostrano però da dove proviene la nostra cultura.
Inoltre, nella società contemporanea, l’antropomorfismo è una tendenza ancora molto viva: tendiamo cioè anche noi ad attribuire agli animali delle qualità umane.
Giulia Novelli