I disegni di Lamia Ziadé per raccontare il Libano degli anni ‘70

Il Libano è un paese di dimensioni ridotte, che vive però grandi contraddizioni interne, vissute e assimilate dalla sua popolazione che è molto varia sia dal punto di vista religioso sia da quello culturale. E’ difficile poter parlare di una sola identità libanese senza presupporre una ricchezza culturale così strutturata. Per iniziare, ci avviciniamo alla terra libanese grazie ai disegni di Lamia Ziadé,  nata nel 1968 a Beirut, capitale del Libano, e ora artista e illustratrice a Parigi. 

Grazie alle pagine del suo volume autobiografico “Bye Bye Babylon” (2012) è possibile ricostruire gli eventi della guerra civile libanese e ricordare con lei le impressioni e i racconti visivi di un conflitto sanguinoso, attraverso gli occhi di una ragazza che aveva allora solo sette anni. 

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Ph. Alessandra Busacca, Madonna Maronita (Beirut)

Nel 1970 Beirut è un incanto, un paradiso terrestre: la “Parigi del Medio Oriente”. Lamia Ziadé sognava dolciumi e viaggi in America, dove le caramelle gommose sono piene di zucchero e le ciliegine rosso vivo costellano i banana splits come tanti pois colorati. 

Una “verniciatura” all’occidentale che però nascondeva in seno la miccia che il 13 aprile 1975 si sarebbe accesa, spaccando il Paese in due su quella che fu chiamata la “linea verde”. Verde come il lussureggiante fogliame che si è fagocitato lo spazio disabitato: a Est i cristiani maroniti, a Ovest i musulmani. 

“Il Libano è una vera e propria polveriera che aspetta solo una scintilla…ma noi ci ostiniamo a credere che il nostro paese sia contemporaneamente la Svizzera, la Parigi, la Las Vegas, la Monaco e l’Acapulco del Medio Oriente e continuiamo a spassarcela. Dai tavolini di Raouché o di Ain Mresseh, dove ogni tanto andiamo a mangiarci una banana split, non si scorgono le bidonville sciite, né i campi palestinesi. E in ogni caso con gli occhiali da sole il marcio non si vede…”

La guerra civile proseguirà fino al 1990. Le parti coinvolte saranno numerose, tra queste l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, le Falangi cristiane, l’esercito israeliano e anche quello siriano.

Ma il nostro intento qui non è quello di soffermarci nel dettaglio sugli eventi storici. Con il romanzo di Lamia Ziadé vogliamo dar voce alle immagini, per mezzo delle quali spesso i messaggi arrivano in modo più diretto, forse anche più autentico.

Immagini di Lamia Ziadé,  tratte dal suo libro
“Bye Bye Babylon” (2012)

Le immagini del libro di Ziadé raccontano bene i diversi conflitti e i continui cambi di alleanza avvenuti a Beirut tra il ’75 e il ‘79 e pongono un forte accento sulle icone del consumismo occidentale, come la crema Nivea o i Bomba chewing gum frizzanti, immortalate vicino a edifici in fiamme, con le scene di violenza e con i disegni luccicanti delle armi in technicolor, quasi a voler raffigurare la guerra come un disegno pop. L’autrice ha voluto, infatti, tessere un filo narrativo preciso, cercando di guidare il lettore e aiutarlo a immedesimarsi e a entrare nella sua immaginazione, perché è lei la testimone della storia e questi sono i suoi ricordi, il suo vissuto privato e personale, e non sarebbe giusto né possibile per ognuno di noi, che non ha vissuto l’esperienza della guerra e dell’esodo, sapere e immaginarne le forme e i colori. 

Ma ci possiamo provare.

Innanzitutto dal libro mancano i numeri delle pagine, quasi a sottolineare un’infinitudine della storia, ancora profondamente viva nella memoria di Lamia. E non ci sono nemmeno sfondi definiti: tutto si staglia su pagine completamente bianche, a volte in una sola, altre volte in due, come se fossero delle pubblicità di prodotti che riempiono lo spazio a singhiozzi, in modo più o meno invasivo. Come le immagini della nostra memoria, senza tempo e senza spazio, ancora giacenti nel nostro subconscio e dure a morire.
La cosiddetta “Battaglia degli Hotel” è descritta minuziosamente e ampiamente documentata da tratti grigio scuri e pennellate incandescenti: il Regent Hotel in fumo, il Rivoli a pezzi, così come il Martinez, lo Starco e l’Alcazar. Tra tutte le immagini, proprio questa ha segnato profondamente l’autrice, tanto da averla proposta in precedenza nel 2008 in forma di installazione con edifici infantili di lana e tessuto. 

Sono descritte e ben disegnate tutte le armi e l’artiglieria utilizzata, le bombe a mano, i carri armati. E vengono dipinti i volti stilizzati di chi combatteva la guerra civile, gli uomini e le donne che ne hanno preso parte e che, come Lamia Ziadé, ne sono usciti profondamente cambiati.                                  

Copertina del libro “Bye Bye Babylon” (2012)
di Lamia Ziadé

Il Libano, prima e dopo la guerra, è dunque un Paese trasformato, ma non per questo privo di fascino e bellezza. Le distese di cedri, le moschee illuminate all’alba, le croci cristiane nel blu della notte e i tortuosi sentieri montuosi ricchi di segreti – tra cui il complesso templare romano di Balbeek ben più grande dell’Acropoli ateniese – non smetteranno mai di dare prova di una interessante e sconfinata complessità culturale

Ma la guerra civile è pur sempre guerra, ancor più dolorosa perché intestina, e ancor più insensata perché raccontata dalla sincerità disarmante di una bambina, ai cui occhi le differenze religiose, etniche o sociali non costituivano un fattore di conflitto, ma solo un mare di conchiglie ognuna con le sue forme e le sue perle preziose. 

Alessandra Busacca

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