2 Dicembre 1804, Parigi.
Ore 8 del mattino: dopo una notte di pioggia intermittente, un colpo di cannone esplode e saluta l’alba di una nuova epoca, l’ennesima nell’arco di pochi anni, per la Francia. Nel suo palazzo delle Tuileries Napoleone Bonaparte si prepara per la cerimonia: da lì a qualche ora diventerà “Imperatore dei Francesi”.
Al momento dell’incoronazione veste un mantello di velluto rosso che, bordato d’ermellino e ricoperto di api d’oro, supera gli otto kili di peso. Il motivo delle api, riproposto anche sul mantello della consorte Giuseppina e sulle tappezzerie che adornano la cattedrale di Notre Dame, sostituisce il giglio dei Borboni e rimanda alla tomba di Childerico, il primo sovrano merovingio che era salito al trono nel lontanissimo 457 d.C. La corona di Luigi XVI, andata distrutta nei turbolenti giorni della Rivoluzione, viene sostituita da una appositamente forgiata sul modello di quella indossata da Carlo Magno mille anni prima. La spada e lo scettro erano appartenuti, invece, a due altri grandi della monarchia francese: Filippo III e Carlo V
Il Papa Pio VII, giunto da Roma, non segue in toto la liturgia d’incoronazione del pontificale romano. La commistione con il rito francese deve essere tale che il nuovo imperatore si debba genuflettere il meno possibile di fronte al Successore di Pietro. Non solo, sarà egli stesso a incoronarsi: nonostante la corona, l’idea di un Carlo Magno che a Roma riceve il simbolo del potere direttamente dalle mani del Papa è lontanissima dallo sfondo ideologico di Napoleone (rivoluzionario, ex giacobino e fautore di uno stato laico).
Che tipo di monarca si presenta, dunque, ai 5000 presenti? Sicuramente una figura nuova, a giudicare dalle parole pronunciate al termine della messa: “io giuro di mantenere l’integrità del territorio della Repubblica”; e ancora, “governerò col solo interesse, gioia e gloria del popolo francese”. Quello stesso popolo francese che, tramite il plebiscito del 1804, aveva sancito il cambio di ordinamento dalla Repubblica all’Impero. L’ancien règime è ormai tramontato, i gigli dei Borboni sono appassiti e l’autorità non è più legittimata dal volere divino (né dal vicario di Cristo in terra, il Papa), ma è conferita al sovrano dal popolo e dalla nazione: Napoleone è “Imperatore dei Francesi” e non “Re di Francia e Navarra per grazia di Dio”, come voleva la tradizionale formula dell’assolutismo monarchico.
La corona di Sant’Edoardo.
Dio conferisce potere al sovrano
La cesura che segna il nuovo corso della storia emerge ancora una volta dalle parole di Bonaparte: “Per essere un re si devono ereditare vecchie idee e genealogie. Io non voglio discendere da alcuno”.
Già, la discendenza: un altro aspetto fondamentale nei sistemi nei quali vige il diritto divino del re. Molti monarchi europei tentano di far risalire le proprie origini a Re Davide dell’Antico testamento; Giulio Cesare vanta fra gli antenati Enea, figlio di Venere; Ippolito d’Este, “Duca di Modena e Ferrara”, viene immortalato nel proemio dell’Orlando Furioso come discendente di Ercole, eroe della mitologia greca assunto fra gli dèi dell’Olimpo dopo la propria morte (Piacciavi, generosa Erculea prole / ornamento e splendor del secol nostro / Ippolito, aggradir questo che vuole / e darvi sol può l’umil servo vostro).
La storia, ai nostri occhi, ha compiuto un giro di boa. La rivoluzione copernicana nella concezione del potere – prima, calato dall’alto sul capo del sovrano; poi, ricevuto dal basso, dal popolo e dalla nazione – non è stata vissuta senza riluttanze da parte dei protagonisti della politica europea: decenni dopo la sconfitta di Napoleone, il 18 Gennaio 1871, Guglielmo I assume il titolo di “Imperatore tedesco”. Il Kaiser, appartenente alla famiglia degli Hohenzollern, vede ancora il proprio potere come conferitogli da Dio in virtù del proprio antico lignaggio: egli non potrà mai essere “Imperatore dei Tedeschi” e continuerà a vedere in Napoleone un rivoluzionario, mai un sovrano.
Frontespizio del “Leviatano” di Hobbes (1651):
il corpo del sovrano è costituito dalla moltitudine dei cittadini
Come spesso succede quando si volge uno sguardo critico alla storia, può capitare che un piccolo dettaglio di poca importanza diventi davvero illuminante: si scopre allora che il nome del monarca – “Re di Francia e Navarra per grazia di Dio”, “Imperatore dei Francesi”, “Imperatore tedesco” – è intriso delle idee che lo hanno plasmato e non dimentica le passioni degli uomini che per quelle hanno combattuto e, spesso, versato il proprio sangue.
Giovanni Tavazza