Il “De Gelesvintha”: il destino della principessa visigota nelle parole di Venanzio Fortunato

Venanzio Fortunato, nato a Treviso attorno al 530, è considerato il primo vero scrittore latino del Medioevo. È stato un autore prolifico ed è ammirato dai critici moderni per la sua delicatezza e per la raffinatezza dei suoi versi. Gran parte delle sue poesie sono raccolte in undici libri nei “Carmina” (o “Miscellanea”). Tra i diversi generi poetici che possiamo trovare in questa opera, spiccano le lodi. Venanzio dedicò, in particolare, le nove poesie del VI Libro dei “Miscellanea” a vari uomini potenti del suo tempo, ma senza schierarsi apertamente nei conflitti e senza giudicare nessuno.
Il poema più lungo del VI Libro è il quinto, il De Gelesvintha, che si configura come un’elegia sul doloroso destino della principessa visigota Gelesvinta che sposò il re Chilperico e fu assassinata da lui, probabilmente galvanizzato dalla propria amante Fridegunda. Venanzio ha una sensibilità che gli permette di raccontarci efficacemente il dolore di Gelesvinta e di sua madre Goisvinta.



Ph. Kelly Kiernan, Saint Fin Barre’s Cathedral, Cork (Irlanda)

L’incipit del poema tratta dei capricci della Fortuna, rappresentata tipicamente nel Medioevo da una ruota. Poi vi è la descrizione dei sentimenti dolorosi di Gelesvinta e di sua madre quando la giovane donna deve lasciare Toledo per andare Rouen. Le due donne non vogliono separarsi e la principessa “bracchia constringens nectit sine fune catenam / et matrem amplexu per sua membra ligat”. La madre prende la parola e troviamo così il primo dei sette monologhi del poema, tutti pronunciati da donne. Il lamento di Goisvinta (vv. 49-82) è ricco di pathos e termina con questo distico: “Plorans perdam oculos, duc et mea lumina tecum / Si tota ire vetor, pars mea te sequitur” (vv. 81-82). Anche Gelesvinta esprime la sua sofferenza e lancia anche un vituperio verso Toledo, “ferox”, la sua città che l’ha abbandonata (vv. 97-122). Allo stesso modo, Goisvinta (vv. 149-168) maledice la Spagna ed esprime ancora il suo incurabile tormento: “Quidquid erit, crucior; nulla hic medicamina prosunt / Vulnere distillo, Gelesuintha, tuo”. È un dolore lancinante, che ricorda quello di Cicerone per la morte della figlia Tullia: “opprimor interdum et vix resisto dolori”. 



Ph. Greta Schölderle Møller, Toledo

Alla fine Gelesvinta, che parla a malapena, cordis viore lingua gravis, deve andarsene, prende la parola per l’ultima volta (vv. 173-178) e infine saluta la madre. Venanzio descrive con grande sapienza retorica la reazione delle due donne alla partenza, il viaggio di Gelesvinta in Francia e, molto brevemente, la loro conversione alla fede cristiana, il matrimonio e la morte. Venanzio dunque tace l’assassinio della donna e, a questo proposito, Michel Rouge nota: “cette volonté de faire paraitre cette mort naturelle aboutit au résultat inverse”.
Seguono il lamento disperato della nutrice (vv. 259-270), interrotto dalla sua incapacità di continuare a parlare, e quello della sorella della povera Gelesvinta, Brunechilda, che è dispersa in lontananza. Brunechilda, che cerca le parole della sorella, trova solo silenzio: “Anxia sollicitans ipsas interrogat auras: / Sed de germanae cuncta salute silent”.

Notiamo bene, grazie a questi passi, che la poesia di Venanzio si fonda su una dialettica tra parola e silenzio. Ci sono flussi di parole pieni di dolore e flussi di lacrime che bloccano quelle parole. Ma c’è anche il silenzio del poeta, che opera una sorta di censura volontaria sulla morte della Gelesvinta.

Infine, Venanzio ci racconta la dolorosa reazione di Goisvinta (vv. 321-346), che va incontro alla morte, accusandola di aver sbagliato perché per prima sarebbe dovuta morire lei stessa. In conclusione, il poeta pronuncia una consolazione basata sulla concezione cristiana di vita eterna nel regno di Dio dopo la morte. Non dobbiamo piangere per Gelesvinta perché lei, siccome ha abbracciato il Cristianesimo, è viva: “Credite, Christicolae, uiuam, quia credidit illa: / Non hanc flere decet quam paradisus habet”.

Giulia Novelli

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