Il “Delirio amoroso” di Alda Merini

Nel 1989 viene data alle stampe per la casa editrice Il melangolo la prima edizione di “Delirio amoroso”, una sorta di diario, di memoriale e di autobiografia sentimentale di Alda Merini, la quale, tuttavia, in più punti del libro avverte il lettore che ciò che vi è contenuto è da prendere con le pinze e non corrisponde a verità:

“quello che scrivo qui non è veritiero né verosimile, in quanto racconto l’orrido in maniera idilliaca. Forse un giorno scriverò il vero diario, fatto di pensieri atroci, di mostruosità e di voglia innaturale di uccidersi. Il vero diario è una lapide tristissima, una delle tante lapidi che hanno sepolto la mia vita.”

È un libro pieno di vita in cui troviamo condensati i temi che hanno costellato l’esistenza della poetessa: la follia, la poesia, il corpo, Dio, l’amore, il dolore, la malattia mentale e la paura, la povertà e la maternità. Sono tanti temi mescolati in una prosa ricca di metafore poetiche, una prosa che trasuda passione, mistero, tensione religiosa, altezze e profondità misteriose. È una prosa che per alcuni aspetti ci ricorda quella di Nietzsche. Sono “pagine incandescenti”, come le definì Ambrogio Borsani, scrittore a cui Alda Merini diede il suo manoscritto originale battuto a macchina.

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 Alda Merini

Le vicende ricordate, narrate e accennate vanno dall’apprendistato poetico avvenuto al di fuori dall’accademia, in Via Torchio, dove si riunivano gli scrittori più importanti del tempo come Giorgio Manganelli, Luciano Erba, David Maria Turoldo, Maria Corti e Giacinto Spagnoletti, ai primi ricoveri, avvenuti tra il 1965 e il 1972, presso l’istituto psichiatrico milanese Paolo Pini, al periodo tarantino dell’amore col suo secondo marito Michele Pierri, al ritorno tristissimo nella casa sul Naviglio e alla morte di lui, avvenuta nel 1988. L’esperienza che emerge con più forza è proprio il dolore per la perdita del marito che si declina nell’incapacità di comprenderla, di accettarla.

È stato, secondo quanto ci racconta Merini, un amore che aveva tutti i caratteri della passione, nonostante tra i due ci fossero una trentina d’anni di differenza e Pierri fosse già ottantenne quando si sposarono. Sono parole cariche di amore e riconoscenza quelle riservate al marito, e raramente disgiunte da un senso di incomprensione e rabbia per questa separazione:

“Io l’ho amato. Ci siamo amati tanto e siamo vissuti beatamente l’uno dell’altro. Ma questa infezione d’amore un giorno qualcuno volle guarirla, forse per mano di un cerusico saccente o di qualche maga ben pagata che capovolse il bene nel male. Si può dire che la mia vita sia stata costellata da grandi maledizioni. Se è vero che gli astri possono qualcosa sulla nostra esistenza, ebbene ci fu un altro funesto che governò la mia vita.”

Poco più avanti emerge con ancora maggior chiarezza l’incapacità di accettare la morte: Merini dichiara di esserne razionalmente consapevole e allo stesso tempo afferma di non volersi arrendere dinanzi a questa consapevolezza: 

“Se io sapessi che Lui è morto, mi coprirei di cenere sospetta. Ma spero sempre che egli si ripari qui, nei miei ranghi, e intanto maledico la sorte, perché io so che non è vivo. Ma non si arrende del tutto la ragione, e così, nel groviglio dei miei pianti, tengo viva l’immagine del mio Grande. O figli miei, se capissi che è morto perderei del tutto il senno mentre io, quando mi scaldo in un abbraccio di follia, non mi arrendo. E questo è il mio dolore.” 

Ph. Siavash, i Navigli di Milano
[fonte: Unsplash]

Un aspetto interessante, a nostro avviso, di questo scritto è la centralità della dimensione corporea. In ogni riflessione della poetessa il corpo occupa una posizione capitale, è un corpo vivace, tempestoso, impetuoso, violento, traboccante di desiderio e a volte smarrito, depresso, vuoto. Il corpo ha a che fare con tutto, con l’amore, col dolore, con la malattia e anche con la poesia: “non esiste poesia senza un enorme sforzo fisico… La poesia non è solo una missione: è anche e soprattutto un lavoro manuale.”. Pervade ogni aspetto della vita umana, anche il rapporto con Cristo.

“Delirio amoroso” è un libro complesso che si configura come un dono prezioso, come tutti i libri dei poeti, un delirio amoroso drammatico e carico di vita. Grazie Alda per averci resi partecipi di un pezzo della tua esistenza.

Giulia Novelli

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