Attenzione alle tonalità di blu, perché questo titolo potrebbe trarre in inganno e indurvi a commettere un errore, come successe ad Andrea Sachs nel film “Il Diavolo veste Prada” (2006) e noi non vogliamo assolutamente il cazziatone di Miranda Priestly:
“Tu apri il tuo armadio e scegli, non lo so, quel maglioncino azzurro infeltrito per esempio, perché vuoi gridare al mondo che ti prendi troppo sul serio per curarti di cosa ti metti addosso, ma quello che non sai è che quel maglioncino non è semplicemente azzurro, non è turchese, non è lapis, è effettivamente ceruleo […]”.
Il titolo del libro di cui parliamo oggi, infatti, potrebbe ricordare a molti di voi il nome di un’altra short novel entrata a far parte della letteratura e consigliata anche da Ernest Hemingway nella sua lista dei “Libri da leggere almeno una volta nella vita” e cioè “L’hotel azzurro” di Stephen Crane (“The blue hotel”, 1898). L’autore, esponente del realismo americano, giornalista e poeta, racchiude nelle pagine di questo libro la storia della natura e della civiltà, di cui tesse le fila sullo sfondo del Nebraska, sotto la lente di un unico colore, anzi, di una certa tonalità:
« Il Palace Hotel di Fort Romper era intonacato d’azzurro chiaro, un colore che si trova anche sulle zampe d’una specie di airone, tale da costringere quest’uccello a proclamare la sua presenza contro qualsiasi genere di sfondo. Il Palace, allo stesso modo, sembrava gridare e ululare, tanto da far sembrare l’abbagliante panorama invernale del Nebraska niente più d’una landa silenziosa, paludosa e grigia».
Stephen Crane affronta molte tematiche sociali quali l’emarginazione, l’intolleranza, l’appartenenza di classe, i vizi e le passioni contrastate dei suoi personaggi, che si ritrovano a giocare a carte in una camera d’albergo e si confessano l’un l’altro: «Suppongo che in questa stanza siano stati uccisi un bel po’ di uomini.»
La storia di cui vogliamo parlare noi però non è questa, bensì quella di altri misteri, di altri tempi e luoghi, raccontata ben sessantacinque anni dopo da Georges Simenon e caratterizzata da un’altra palette di blu.
Copertina del libro “La camera azzurra” di Georges Simenon,
Adelphi Editore (2013)
Antoine Falcone, detto Tony, e Andrèe sono amanti in una provincia francese che attendono di consumare la loro folle passione extraconiugale in una graziosa “chambre bleue”, unico luogo in cui possono incontrarsi senza essere visti dagli occhi indiscreti del paese:
«La camera era azzurra, di un azzurro – aveva notato un giorno –simile a quello della liscivia. Un azzurro che lo riportava all’infanzia, ai sacchetti di tela grezza pieni di polvere colorata che sua madre diluiva nella tinozza del bucato prima di risciacquare la biancheria e stenderla sull’erba scintillante del prato. A quel tempo lui doveva avere cinque o sei anni, e si chiedeva come mai una polverina azzurra potesse ridare il bianco dei tessuti. Gli sembrava un miracolo.»
Il punto di vista è quello di Tony, che funge da narratore principale della storia. Nessun investigatore, sebbene vi sia una voce fuori campo che procede all’interrogatorio, interferisce con i pensieri del lettore e lo orienta. Si sente sempre la voce ingenua, o falsamente tale, di Tony, accusato di un crimine atroce, che viene via via svelato, pagina dopo pagina, e che noi scegliamo cautamente di non “spoilerare”.
Riveleremo solo l’inizio del “crimine”, che comincia a consumarsi a pagina 11, quando Andrée chiede a Tony: “Ti piacerebbe passare con me il resto della tua vita?” e quando “l’azzurro della camera non somigliava solo al colore della liscivia” ma “ricordava anche il cielo di certi caldi pomeriggi d’agosto”.
Simenon è scrittore audace ed esperto di gialli, resosi famoso grazie alle indagini di uno dei commissari più astuti della letteratura insieme a Poirot e Miss Marple, ossia il commissario Maigret, perciò non sarà difficile immaginarne l’estro creativo in questo racconto, che si colora di un blu di picassiana memoria, cupo e melanconico, fatto da turbamenti della psiche, inganni, frammenti del passato e storie inconfessabili.
“Poveri in riva al mare”, Pablo Picasso (1903)
“La camera azzurra” di Georges Simenon, adattamento teatrale di Letizia Russo
Ciò che attrae del libro non è la scabrosità del noir, il giallo in sé, ma l’attenzione posta sull’erotismo carnale e sull’amore, visto come un gioco di specchi molto pericoloso, «un piacere assoluto, animalesco, senza secondi fini, e mai seguito da disgusto, disagio o stanchezza».
Il premio Nobel George Simenon riesce a entrare minuziosamente nella psicologia dei personaggi e nei loro ricordi confusi, fatti di sostanza duttile e cangiante e per questo inattendibili.
Il mistero resterà insoluto, così come quello dell’“hotel azzurro” di Crane.
L’ultima pagina abbandona il lettore a un finale aperto di dubbi e domande e lascia ben poche speranze al riscatto dell’anima di Tony, alla quale non basterà una polverina azzurra per tornare immacolata.
Alessandra Busacca