La cultura classica tra VI e VIII secolo: alcuni fari nella notte

Il periodo che va dalla metà del VI secolo alla metà dell’VIII secolo rappresenta uno dei momenti più oscuri per gli antichi autori latini, perché non vennero quasi per niente copiati. Ricordiamo che la conservazione dei libri, prima dell’avvento della stampa, era legata a doppio filo alla capacità di trascrivere e copiare a mano i manoscritti.

Una delle ragioni di questo disinteresse nei confronti della classicità si può individuare nel fatto che in questi secoli la chiesa iniziò ad assumere il controllo della cultura e il monastero si configurò ben presto come il luogo deputato alla conservazione dell’antichità pagana. Le cose rimasero così più o meno fino alla cosiddetta “Rinascita carolingia”, in cui Carlo Magno promosse lo studio delle arti liberali, e successivamente alla nascita dei comuni e delle università, quindi sino allo sviluppo di un solido potere laico. Si intuisce facilmente che prima di questa rinnovata e sistematica attenzione ai classici, le due culture, quella pagana e quella cristiana, non ebbero sempre una pacifica convivenza nell’Europa continentale.

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Miniatura raffigurante Boezio

Tuttavia, in questi secoli, dal VI all’VIII, spiccano figure di grandi intellettuali che con le loro opere e le loro azioni si sono adoperati per preservare l’antichità pagana. Vediamoli da vicino.

Il VI secolo in Italia è caratterizzato dalla persistenza dell’eredità classica. In questo periodo emergono autori come Boezio e Cassiodoro che, pur con obiettivi diversi, sentono entrambi la necessità di preservare e garantire la sopravvivenza del passato. I due autori più influenti del secolo successivo sono Isidoro di Siviglia, che ha attuato un recupero della cultura classica ma senza nostalgia, e Adhelmo di Wessex, grande conoscitore del mondo greco e latino. Grazie anche ad Adhelmo fu fondata una scuola inglese (che ha prodotto in seguito uomini come Beda (639-735), definito “il Venerabile”), la quale contribuì a diminuire il predominio culturale degli irlandesi. Nel VI secolo, infatti, alcuni irlandesi come San Colombano avevano avviato un’importante azione missionaria che portò alla fondazione dei celebri monasteri di Luxeuil (590), San Gallo e Bobbio (612). Nello stesso periodo, alla fine del VI secolo, l’Inghilterra del sud ristabilì un rapporto diretto con Roma che, a causa dell’afflusso di libri portati sull’isola dall’Urbe, produsse una ricca cultura anglo-latina. Inoltre, gli anglosassoni, influenzati dagli irlandesi, iniziarono un’azione missionaria che ebbe come conseguenza, ad esempio, la fondazione dei monasteri di Fulda e Hersfeld. Questo processo, culminato nella figura di Alcuino, con ogni probabilità influenzò molto la rinascita della letteratura latina a cui facevamo cenno poc’anzi. Alcuino, come Pietro da Pisa e prima di lui Paolo Diacono, fu invitato alla corte di Carlo Magno nel 782 per lavorare al suo nuovo progetto di riforma scolastica. 

Negli anni Settanta e Ottanta dell’VIII secolo ci fu una rinascita della cultura antica, vale a dire, come sottolinea Michael Lapidge, avvenne un «passaggio da una cosiddetta “età buia”, in cui lo studio del latino era privilegio esclusivo di una piccola minoranza, in una situazione in cui la costosa lingua latina è un normale mezzo di comunicazione nell’ambito di un ultimo letterata vieppiù crescente».

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 Bartolomé Esteban Murillo, Sant’Isidoro di Siviglia (1655)

Vogliamo ora porre l’accento su due studiosi di questa “età buia”, nelle cui opere, che influenzarono la letteratura dei secoli successivi, è possibile osservare la volontà di conservazione del mondo antico: Boezio e Isidoro. 

Boezio rappresenta uno dei più alti momenti di contatto tra la filosofia greca e il pensiero cristiano. Nel 510 dichiarò di voler tradurre tutto Platone e tutto Aristotele, ma, essendo chiaramente un progetto molto ambizioso, tradusse solo poche opere come le “Categorie”, il “De interpretatione”, gli “Analytica priora” e gli “Analytica posteriora” e si dedicò inoltre alla stesura di alcuni trattati di logica. Questi scritti furono importanti perché conferirono alla scuola dell’Alto Medioevo un carattere razionale, e nel tardo Medioevo, dall’XI secolo in poi, “sono stati alla base di un nuovo modo di concepire la ricerca filosofico-teologica” (C. Leonardi, Il secolo VI, in “Letteratura latina medievale (secoli VI-XV)” cit., p. 5). 

Tuttavia, l’opera più rilevante di Boezio è senza dubbio la “Consolatio Philosophiae”, scritta in carcere, in cui si fondono armoniosamente le sue drammatiche esperienze personali e la grande tradizione classica. La “Consolatio” fu molto letta nel Medioevo e garantì anche il passaggio dell’antica tradizione filosofica alle generazioni successive.

Allo stesso modo, l’opera più importante di Isidoro, le “Etymologiae” o “Origines”, si configura come fondamento della cultura medievale: era presente, infatti, in quasi tutte le biblioteche ecclesiastiche di medie dimensioni. È un’enciclopedia divisa in venti libri, che ha l’ambizioso obiettivo di descrivere, a partire dall’etimologia delle parole, tutte le cose fino ad allora conosciute. Questo lavoro non nasce dall’osservazione del mondo, dall’esperienza, ma dallo studio di tutti i libri latini antichi. Le “Etymologiae”, per il loro contenuto, si configurano quindi come una sistematizzazione del sapere precedente e vennero utilizzate come opera di riferimento per le nozioni scolastiche.

Per concludere, questi secoli dell’inizio del Medioevo denotano, da un lato, una scarsità di testi e una certa difficoltà nella conservazione delle opere degli autori antichi, ma dall’altro sono caratterizzati dalla presenza di alcuni intellettuali che come fari nella notte si spesero per la preservazione della classicità letteraria e filosofica.

Giulia Novelli

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