Sono David Bailey, Terence Donovan e Brian Duffy. Inglesi. Rampanti. Fotografi.
Soprannominati bonariamente dal loro collega Norman Parkinson “la trinità nera”, i “terribili” tre si impossessarono del mondo dell’alta moda, contribuendo a creare l’immagine della Swinging London degli anni Sessanta: una cultura della moda vivace e rivoluzionaria, una parentesi sempre in movimento di artisti, cantanti e sognatori, in un’atmosfera che spesso idolatrava gli stessi fotografi e li elevava al rango di vere e proprie celebrità.
I fotografi, infatti, erano i primi a socializzare con registi, attori, pop-star e modelle e li seguivano ovunque cercando di immortalarne le avventure o il look stravagante tra le vie di Soho e a Carnaby Street.
“Prima del 1960 un fotografo di moda era alto, magro e camp, noi invece siamo bassi grassi ed eterosessuali”. Si presentavano così, i “terribili” tre, in modo un po’ provocatorio e scanzonato. Il loro stile visionario anticipò molte delle usanze oggi in voga nella fotografia di moda.
David Bailey, Brian Duffy e Terence Donovan
(fonte: @GettyImages)
Durante anni “psichedelici” come quelli di fine Sessanta del Novecento, l’uso particolare della gelatina colorata era un must e se ne può vedere un esempio nel servizio di biancheria intima per la rivista “Queen”, dove Brian Duffy usò il proiettore per creare degli effetti particolari sulla modella.
Per formare le bande di colore, il fotografo fece dei fori bruciando la gelatina dei filtri e li tagliò per ammorbidirne la sagoma, poi li proiettò sulla modella che posava davanti a uno sfondo completamente bianco in modo che risaltassero i colori della gelatina.
Scatto di @Brian Duffy per l’editoriale “Queen”.
Tecnica: uso combinato della gelatina colorata e del proiettore
Dei tre fotografi, Brian Duffy (1933 – 2010) è quello più eclettico: il suo atteggiamento verso la fotografia restò sempre ambiguo. Ad un certo punto, infatti, scomparve nel nulla, appese la sua Leica al chiodo e si dice addirittura che abbia tentato di bruciare i suoi negativi degli anni ’70. Grazie ai vicini di casa di Duffy, che notarono il fumo provenire dal cortile sul retro, si salvarono parecchi scatti. Nel documentario “The man who shot the 60s” prodotto dalla BBC, egli spiega il perché di questo gesto impulsivo e rabbioso: il potere dei fotografi era diminuito, l’estro artistico in fotografia abbandonato e ovunque sembrava regnare la banalità dell’impero commerciale; ovviamente a risentirne era la qualità degli scatti, così Duffy decise di abbandonare la fotografia.
Prima di ritirarsi, però, aveva già raggiunto l’apice. Molti degli splendidi ritratti sono ciò a cui un fotografo aspirerebbe, tra questi in particolare quello dell’iconica copertina dell’album “Aladdin Sane” di David Bowie. Sicuramente il soggetto in fotografia gioca la sua parte.
Già Henri Cartier-Bresson sconsacrava il ruolo e la bravura dei fotografi in toto, considerati da lui degli osservatori quasi passivi dietro a un click, attribuendo invece grande capacità alla “sorte e al caso” per la buona riuscita di una foto: “Una fotografia non è né catturata né presa con la forza. Essa si offre. E’ la foto che ti cattura”.
Riguardo ai contributi di Terence Donovan (1936 – 1996), che inizia a fotografare nel suo studio a soli ventidue anni, sicuramente a lui bisogna attribuire l’idea di cominciare ad immortalare le modelle fuori dallo studio o dagli ambienti tipici del mondo del fashion. A Terence piaceva il paesaggio industriale, periferico e semi distrutto come gli appartamenti poco arredati, le fabbriche, le rovine.
Tra i suoi soggetti famosi ricordiamo grandi attrici italiane come Monica Vitti, Sophia Loren, Claudia Cardinale. Anche lui, come Duffy, abbandonò ben presto la fotografia, dedicandosi maggiormente ai video e alle pubblicità.
Terzo e ultimo fotografo: David Bailey (1938). Non pensava nemmeno di diventare un fotografo. Diceva: “Se nascevi nell’East End londinese degli anni trenta non avevi molta scelta. Potevi diventare un pugile, un ladro d’auto o al limite un musicista”.
Poi però, dopo il servizio militare, si appassiona all’obiettivo e diventa fotografo. E si sposa. Quattro volte, la seconda con Catherine Deneuve!
Michelangelo Antonioni si ispira a lui per dar vita al protagonista di “Blow Up”, divenuto poi uno tra i più celebri film sulla fotografia.
Tra i soggetti di Bailey troviamo i Rolling Stones, Kate Moss, Andy Warhol e la allora ventenne Jane Birkin. I suoi ritratti sono insoliti, bizzarri, non restituiscono le immagini tipiche dei vip, ma nascondono qualcosa di mistico come se chi fosse ritratto volesse saltare fuori dai confini della stessa carta fotografica. Inoltre è celebre la sua osservazione recente sulla morte della fotografia di strada. Egli sostiene infatti che lo smartphone “has ended the era of the star photographer”.
Si chiude così un ciclo, e, se è vero che nel 2020 permangono ancora le star, sicuramente il cellulare ha portato via ai fotografi molto del loro divertimento. Raccontare attraverso un’immagine ben fatta non è più prerogativa di pochi eletti, ma una caccia all’esclusiva delle esclusive, o semplicemente, una quête infinita dell’attimo.
Alessandra Busacca