Le pietre del latte

Non è la bellezza che mi conduce a te, scrittura, 

bensì la perdizione dell’anima

Amal Al-Juburi 

La perdizione, secondo la poetessa irachena Amal Al-Juburi, porta alla scrittura, come se, attraverso le parole finalmente fermate e non più solo vibrazioni d’aria destinate a dissolversi, l’anima possa finalmente acquetarsi.

Le scoperte archeologiche che attestano l’uso della scrittura nel mondo antico risalgono a circa un secolo fa.

Primo fra tutti, il ricercatore e archeologo inglese Arthur Evans, sulla scia di Schliemann, iniziò a studiare approfonditamente i territori dell’Egeo per mettersi sulle tracce della civiltà micenea. Egli era fermamente convinto del fatto che non potesse non essersi sviluppato un sistema di scrittura là dove sviluppati e complessi erano l’economia, il commercio e le ricche strutture palaziali. 

Quindi, incuriosito da alcune gemme incise, trovate in numerose botteghe ad Atene, Evans salpò alla volta della terra del mitico re Minosse, Creta, da dove credeva provenissero. Grazie al soggiorno sull’isola, notò che le donne del luogo indossavano effettivamente dei monili particolari, costellati di antichi sigilli, in parte somiglianti a geroglifici. 

Anche nella cultura egizia esistevano amuleti-sigilli, alcuni dei veri e propri capolavori di glittica. Si pensi a quelli che riproducono piccoli scarabei. Qual era il loro significato? Lo scarabeo era associato al culto del Sole, perché gli egizi vedevano nel comportamento dell’insetto, che ogni alba si spinge verso est, una metafora del ciclo solare e quindi del divenire. Da qui l’abitudine di usare gemme a forma di scarabeo come amuleto, accompagnate da formule magiche che dovevano propiziare i morti nel mondo di Osiride. 

Antichissimo amuleto a forma di scarabeo

Le gemme trovate da Evans avevano le forme più diverse: ovali, tonde, più raramente triangolari e quadrate e servivano per lasciare un’impronta, come timbri. Erano chiamate γαλοπέτρες (galopètres) cioè “pietre del latte”, dal greco γάλα, che significa “latte” e πέτρa, “pietra“, perché le donne Cretesi credevano che tali amuleti, portati al collo, riuscissero a favorire l’allattamento. Evans riuscì ad acquistarne un gran numero e comprese le tracce di un sistema di scrittura. Confrontò i segni con i geroglifici sui vasi e sulle tavolette d’argilla di Cnosso e diede il via per l’identificazione di tre tipi di scrittura: la Geroglifica, la Lineare A e la Lineare B. Quest’ultima sarebbe poi stata decifrata da Michael Ventris nel 1952 come scrittura micenea.

Le “pietre del latte“ offrono una testimonianza preziosa non solo per la scrittura, ma sono un esempio di rituali, oggi parte della mitologia e quindi per questo ancora più forti della storia, che ancora sanno affascinare anche le menti più razionali. Secondo alcune credenze le pietre del latte sono da identificarsi con l’agata, la pietra di cui gli antichi cretesi facevano uso come talismani, in quanto tra le sue proprietà avrebbe proprio quella di favorire la produzione di latte durante i periodi di gravidanza. I cerchi concentrici che la caratterizzano simboleggerebbero una madre con un bambino in grembo. 

Meraviglioso esempio cretese di “pietra del latte”

Curioso inoltre il fatto che nel folklore siculo e secondo un’altra tradizione, quella cattolica, S. Agata, giovane martire, sia la protettrice delle “balie“, dell’allattamento e della salute del seno. E dunque in qualche modo la tradizione continua…

In ogni caso per amuleto si intende un qualunque oggetto ritenuto in grado di “difendere“ da mali e pericoli o capace di attirare la buona sorte. L’etimologia della parola rimane dubbia. Il latino “a-molior” significa “tener lontano, allontanare“, mentre il greco “ἂμυλον” (àmulon) indica un tipo di focaccina che si offriva come dono propiziatorio agli dei. 

Qualunque significato avessero le gemme già citate, la ratio di ogni lettore saprà ben discernere la loro importanza archeologica, atta alla comprensione delle origini della scrittura, sebbene non tutte le scritture egee riuscirono ad essere decifrate e confrontate. E’ il caso della scrittura del “disco di Festo”, un esemplare unico, consegnato nel 1908 nelle mani dell’ archeologo italiano responsabile dello scavo nella città di Festo a Creta. Ma ancora oggi gli studiosi non possono far altro che osservare impotenti, almeno per il momento, questo concentrico sistema di segni.

Il “disco di Festo”

Alessandra Busacca

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