Quanto è verosimile che due vecchietti, i quali hanno come unico alleato un variopinto stormo di uccelli, riescano a detronizzare il grande Zeus e gli altri dèi immortali? La lotta è decisamente ìmpari e l’esito dello scontro pare segnato in partenza: rispetto a lance di bronzo, piume e becchi, quanto più forti sono i dardi di Apollo, le saette di Zeus, il tridente di Poseidone? Ciononostante, un abnorme sconvolgimento cosmico è proprio ciò che viene messo in scena da Aristofane nella commedia “Gli Uccelli”: al termine dell’opera, i due vecchietti e gli uccelli riusciranno ad allontanare per sempre gli dèi tradizionali dall’Olimpo e ne prenderanno il posto e gli onori.
Ora, al di là del felice ma imprevedibile esito della ribellione, quali motivazioni hanno spinto degli innocui piumati ad intraprendere una simile impresa? A tal proposito, risultano determinanti gli interventi demagogici e fantasiosi di uno dei due vecchietti, Pisitero, il cui nome è eloquentemente traducibile come “colui che persuade i compagni”. Costui, desideroso di costruire una città in cielo, chiede aiuto ai volatili e, per convincerli della legittimità della nuova fondazione, racconta loro un mito che essi avrebbero da lungo tempo dimenticato: le prime divinità ad apparire nel cosmo sono stati gli uccelli stessi e, in virtù di questa estrema antichità, devono riappropriarsi di tutto ciò che è stato loro sottratto dagli Olimpici.

A questo punto possiamo compiere una riflessione più generale che ci coinvolga in prima persona: ogni comportamento umano, perché sia valido, deve essere coerentemente inserito in uno sfondo teorico, in una narrazione o, più propriamente, in una cosmologia (La necessità del pregiudizio). Fino a qui niente di strano.
Tuttavia, ciò che avviene in Aristofane è molto più sottile e pericoloso: dal momento che il proposito che si vuole perseguire – quello di fondare una città nel cielo – è abnorme, è necessario inventare un racconto, relativo all’antica divinità degli uccelli, entro il quale collocarlo e, di conseguenza, legittimarlo. La costruzione dell’impianto teorico è, dunque, la conseguenza e non il presupposto dell’intento: solo una volta che si è conclusa questa operazione, per quanto assurda e fantasiosa, la guerra contro gli dèi potrà essere sostenuta fino alle sue estreme conseguenze con la massima forza e convinzione.
Vero, questo avviene in una commedia di oltre duemila anni fa e noi siamo abbastanza “razionali” e “scaltri” per riconoscere certe costruzioni fittizie e certe manipolazioni. Esattamente come siamo riusciti a riconoscere la costruzione del mito della “razza superiore” grazie al quale sono state legittimate le leggi razziali in Italia nel 1938; esattamente come siamo riusciti a riconoscere la narrazione della “invasione degli immigrati” grazie alla quale si sono chiusi porti e frontiere e certi politici hanno riscosso ampi consensi.

Queste poche righe non hanno certo la pretesa di svolgere un’indagine sulla situazione sociopolitica in cui viviamo, ma vorrebbero sottolineare il pericolo di quelle facili narrazioni che, oggi come nell’Atene di Aristofane, un Pisitero, un “persuasore di compagni”, può costruire per giustificare il proprio operato e le proprie ambizioni.
In conclusione, per chi desiderasse approfondire la degenerazione demagogica ateniese, si segnala il libro “Il mondo di Atene” di Luciano Canfora (Laterza, 2011).
Giovanni Tavazza