Questo libro lo consiglierei in primis a chi pensa che l’arte sia inutile, che studiare lettere o filosofia sia inutile, ma soprattutto a chi ha scelto una strada nel mondo umanistico e sta iniziando a convincersi di aver sbagliato tutto.
Il titolo del nostro libro, “L’utilità dell’inutile. Manifesto” (Bompiani, 2013) è un ossimoro e si configura come una tesi che lungo il testo l’autore si propone coraggiosamente di dimostrare. Partiamo dal significato delle parole. Cosa significano “utile” e “inutile”? Innanzitutto, Nuccio Ordine fa riferimento all’accezione che la nostra società ha dato all’aggettivo “utile”, intendendolo cioè come la peculiarità di ciò che produce profitto. “Inutile” dunque, al contrario, è tutto ciò che profitto non produce, come l’arte, la filosofia, la letteratura e le discipline umanistiche in generale. Si noti che Nuccio Ordine è professore ordinario di letteratura italiana presso l’Università della Calabria.
L’autore, in questo coltissimo saggio, mette assieme a mo’ di antologia testimonianze, riflessioni, analisi di filosofi, letterati e artisti sul tema in questione che viene tuttavia osservato da diverse prospettive. La prima parte del libro dedicata all’utile inutilità della letteratura, è un piccolo florilegio in cui sono raccolte le parole di grandi pensatori, da Platone a Shakespeare, da Federico Garcia Lorca a Giacomo Leopardi, che nel preambolo del giornale che si era messo in cuore di far nascere dichiara:
“E crediamo ragionevole che in un secolo in cui tutti i libri, tutti i pezzi di carta stampata, tutti i fogliolini di visita sono utili, venga fuori finalmente un Giornale che faccia professione d’essere inutile: perché l’uomo tende a darti singolare dagli altri, e perché, quanto tutto è utile, resta che uno prometta l’inutile per ispeculare”.
Copertina del libro L’utilità dell’inutile. Manifesto di Nuccio Ordine
Come ammette lo stesso autore, è molto difficile convincere qualcuno dell’utilità dell’arte: viviamo in un mondo dominato dalle leggi del mercato, ossessionato dal successo, dal profitto e dal guadagno e abitato da una nuova specie di uomo, homo oeconomicus, tutto intento ad accumulare ricchezze e potere. L’autore, in queste pagine chiare e precise, ci mostra o ci ricorda che l’arte è qualcosa di assolutamente essenziale, come l’ossigeno. E proprio nei momenti di crisi è all’arte che la politica si deve rivolgere, dice Ordine; è lì, infatti, che si ritrova l’ossigeno necessario per non soffocare. L’arte è proprio ciò che dà forma alla vita, che rende possibile una vita degna, è il perno su cui si fonda il desiderio, l’amore, la creatività. L’autore a questo proposito cita le belle parole pronunciate dallo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa quando gli fu conferito il premio Nobel, che vorremmo condividere con voi:
un mondo senza letteratura si trasformerebbe in un mondo senza desideri né ideali né disobbedienza, un mondo di automi privati di ciò che rende umano un essere umano: la capacità di uscire da se stessi e trasformarsi in un altro, in altri, modellati dall’argilla dei nostri sogni.
E l’arte, che è inutile, è proprio ciò che permette all’uomo di accedere all’humanitas, ciò che gli consente di diventare umano. Lo scrisse con parole luminose lo scrittore giapponese Kakuzō Okakura:
L’uomo primordiale trascese la propria condizione di bruto offrendo la prima ghirlanda alla sua fanciulla. Elevandosi al di sopra dei bisogni naturali primitivi, egli si fece umana. Quando intuì l’uso che si poteva fare dell’inutile, l’uomo fece il suo ingresso nel regno dell’arte.
La seconda parte del saggio “L’università azienda e gli studenti clienti” è una critica argomentata e spietata della politica, di cui vengono mostrati gli effetti devastanti sull’università. L’università, sostiene Ordine, si è convertita in un’azienda in un cui gli studenti sono i clienti, i professori sono stati ridotti a modesti burocrati alle prese con riunioni e consigli d’ogni sorta, i rettori si sono trasformati in manager, costretti a fare continui bilanci e a generare profitto. In questo clima sconfortante, Ordine mostra come il destino di discipline quali la filologia, l’archeologia e la paleografia sia minacciosamente a rischio, così come quello del latino e del greco. Anche altri luoghi di cultura come le biblioteche sembra che non godano più oggi di una grande speranza di vita.
L’ultimo capitolo del libro è infine dedicato a tre temi fondamentali nella storia dell’uomo: dignitas homini, amore e verità, e ha come scopo dimostrare che il possedere non rende felici.
Il saggio di Ordine, che come dichiara il sottotitolo è un Manifesto, è un libro importantissimo a nostro parere. È il manifesto di un intellettuale militante che con tutta la sua passione denuncia aspramente, per amore della cultura, le storture di questa nostra società per molti aspetti malata. È un libro necessario di questi tempi, perché è un libro capace, pur nella denuncia, di offrire ossigeno ed energia, di spingere cioè il lettore a non rimanere inerme e a prendere posizione.
Théophile Gautier, “Oeuvres”
Tra le varie figure evocate, nel testo di Ordine figura anche quella dello scrittore, poeta e critico letterario francese dell’800 Théophile Gautier, che scrisse: «En général, dès qu’une chose devient utile, elle cesse d’être belle. Elle entre dans la vie positive, de poésie elle devient prose, de libre, esclave. […] L’art, c’est la liberté, le luxe, l’efflorescence, c’est l’épanouissement de l’âme dans l’oisiveté».
Gautier ha scritto questa frase nella Prefazione dell’opera “Premières poésie. Albertus” (1832), nella quale egli vuole giustificare la scelta di scrivere poesia e, in generale, la scelta di dedicarsi all’arte. Il bisogno di giustificazione risponde all’idea comune che la vita debba essere utile e, di conseguenza, che lo siano anche le sue manifestazioni e le sue attività. Per questa ragione l’arte è stata spesso considerata, da alcuni individui, un’attività minoritaria e inutile e quindi relegata alla sfera dei “passatempi”. Ma questa idea fa parte dei princìpi di una società, quella di metà ‘800, che Gautier non condivide.
La questione principale per Gautier è che le cose, per essere belle, non devono per forza essere utili.
In più, nessuno può dire esattamente che cosa significhi il termine “utile”. La nozione di “utile” è infatti relativa, perché i valori e i bisogno individuali variano da persona a persona. Una ferrovia sarà sempre più funzionale di un giardino con piante e fiori, ma non possiamo figurarci la Terra senza un po’ di verde e senza le rose. E per l’arte, più che per la vita, il problema si fa ancor più spinoso.
Oscar Wilde, attraverso le parole del protagonista del suo romanzo più celebre, “Il ritratto di Dorian Gray”, scriveva: “Tutta l’arte è completamente inutile”. In altre parole sembrerebbe che la sua principale qualità e bellezza risieda nel suo essere senza scopo.
Oscar Wilde (1854 – 1900)
Quando Gautier scrive che l’opera perde la sua bellezza entrando nella “vita positiva”, non si riferisce all’estetica, perché anche la bellezza può essere relativa. Egli vuole dire semplicemente che in quel modo cessa di essere arte.
Un’opera non nasce per essere utile. All’inizio essa è creazione libera. E solo dopo diventa più o meno “utile”. Quindi come Gautier ha specificato, “schiava”, prigioniera di una costruzione sociale. La società se ne serve liberamente, approvandola o distruggendola. E la stessa sorte può accadere agli artisti. E’ sufficiente pensare ai numerosi casi di censura, citandone solo uno, “Les fleurs du mal” di Baudelaire. Basti pensare alle condanne di scrittori e poeti, non accettati perché si sono opposti alla morale, al sentimento, alle idee di un’epoca.
Ciò che si fa dell’arte riguarda unicamente noi, il pubblico. L’opera d’arte non è utile in sé, ma può diventarlo. Oppure no. Ed è per questo che la maggiore responsabilità si ha con la critica. Non bisogna dimenticare che quando vi è una strumentalizzazione dell’arte, questa comporta dei rischi. La direzione delle nostre interpretazioni può essere fatale. Non è ignota la spietata strumentalizzazione che il fascismo ha fatto della scultura e iconografia classica, e in questo caso si può ben comprendere come l’arte sia divenuta schiava di un’ideologia e dell’essere umano. Ma in differenti forme essa ancora sopravvive, libera, senza un viso ben definito, e inutile.
A nostro avviso, non è necessario che un dipinto, un libro o una statua siano utili per poter essere apprezzate. Bisogna riconoscere che nel mondo ci sono cose che non sono funzionali. In più, credo che sia necessario sottolineare un fatto: benchè l’arte sia considerata inutile, essa è la prima cosa che viene distrutta quando l’inciviltà e il fanatismo prendono il sopravvento. Oggi il terrorismo colpisce i monumenti, come il sito di Palmira in Siria; in generale in periodo di guerra vengono colpite le città, specie le più belle e ricche di capolavori. Piccoli paradisi deturpati dalla morte e dall’odore di tritolo. Biblioteche in fiamme.
Allora, perché distruggere cose così “inutili”? Perché la “bellezza”, non per forza estetica, come abbiamo visto, ma intesa come genuinità e ingenuità, può essere bandiera di pace contro la guerra e la barbarie.
Al contrario, l’ossessione per il profitto può corrompere gli spiriti più sensibili. L’aridità dell’anima inizia con l’esclusione dell’arte e della bellezza dalla propria vita, riducendo la propria esistenza solo a una macchina di produzione e commercio. L’unico interesse sarà quello di guadagnare qualcosa da un punto di vista materiale e non più intellettuale. La velocità di questo meccanismo porterà al collasso stesso delle sue parti, fino alla “morte spirituale”, intellettuale. E senza l’umanità, senza le passioni come la letteratura, il teatro o la poesia, l’uomo resta una macchina fredda e senza vita.
Il progresso della civiltà non è direttamente proporzionale al progresso tecnico ed economico.
Bisogna tener presente che il sapere e la conoscenza sono pratiche del pensiero e non si possono trasmettere agli altri meccanicamente. Per attivare il pensiero sono necessarie quelle attività come la riflessione filosofica, la poesia e il teatro. Tutte queste fanno parte di un insieme ancora più vasto, che è la cultura in generale. E non mi sembra di dire novità.
L’arte è certamente qualcosa di difficile da definire. Possiamo più facilmente definire che cosa non lo è. L’arte è una tautologia. E’ incoerente, contraddittoria, sfuggente e sempre in movimento. I suoi canoni si muovono, mostrando come sia impossibile incastrarla, fossilizzarla. Le cose inafferrabili, per loro natura, minacciano l’ordine con la loro libertà d’agire. E non sono utili. L’utilità non è la natura dell’arte, come abbiamo visto, quindi bisogna cercare di accettare e riconoscere la sua gratuità, quando questa riesce ad aprirci anche solo una piccola finestra sul mondo.
Giulia Novelli e Alessandra Busacca