“Una testa viva attaccata a un corpo morto”, così descriveva la sua esistenza il galiziano Ramón Sampedro (Xuño, 5 gennaio 1943 – Boiro, 12 gennaio 1998), un uomo che a venticinque anni, a seguito di un tuffo in mare mal riuscito, rimase paralizzato dal collo in giù per 28 anni, sino alla morte tanto anelata e infine raggiunta.
Ci racconta la sua tragica storia il regista cileno naturalizzato spagnolo Alejandro Amenábar non in un documentario ma in un film dal titolo “Mare dentro”, uscito nel 2004.
Locandina del film “Mare dentro” di Alejandro Amenábar (2004)
Centrale è lo spinoso tema dell’eutanasia e del suicidio assistito -tuttora illegali in Spagna- e cioè del diritto di morire (e quindi di vivere) come meglio si crede, tema che viene affrontato da Amenábar riproducendo la dialettica tra le due fazioni: i favorevoli e i contrari.
Portavoce dei primi è un prete simbolo della cristianità più cieca e intransigente, anch’egli paraplegico, a cui viene fatta recitare una parte che sfiora il ridicolo e il grottesco. Da questa parte è schierato anche il fratello maggiore di Ramón, che si configura come emblema dell’ignoranza e dell’incapacità di sviluppare un pensiero coerente e coeso.
I favorevoli sono rappresentati in primis da Ramón, interpretato dal bravo Javier Bardem, uomo acuto, maturo, sensibile emotivamente ed intellettualmente e dotato di sapiente ironia, segno di un’intelligenza vivace.
Ramón, nonostante la sua forza vitale, è sfinito da anni di vita che non considera tale, trascorsa 24 ore su 24 disteso su un letto, “attaccato al tuo proprio cadavere” come disse egli stesso in un’intervista della tv spagnola, prigioniero di un corpo muto, insensibile a ogni stimolo. L’unica cosa che può fare è guardare ad occhi aperti ciò che gli permette il suo campo visivo e ad occhi chiusi tutto ciò che vorrebbe vedere ma che gli è impedito dalla propria condizione. La dimensione onirica assume un’importanza inaspettata in questa vicenda umana poiché è l’unico momento in cui Ramón-Bardem può essere uguale agli altri, può non essere un tetraplegico. Frequenti sono nel film gli excursus onirici che colpiscono per la loro bellezza, dovuta all’abilità della regia, da un lato, e allo splendore intrinseco del paesaggio rappresentato, dall’altro. È la Galizia, terra di origine celtica bagnata dalle acque inquiete dell’oceano Atlantico, che è ancora in buona parte rurale e pare conservare una qualche essenza primordiale.
Ph. Alejandro Piñero Amerio, Islas Cíes – Galicia
(fonte: Unsplash)
Due donne figurano al fianco di Ramón: Julia (Belèn Rueda) e Rosa (Lola Dueñas), le quali in modi differenti s’innamorano di lui, dando vita a particolare un triangolo amoroso. Julia, affetta da una malattia neurodegenerativa, è l’avvocatessa di Ramon che sostiene la sua causa di fronte alla giustizia; Rosa, invece, è un’operaia di un paese vicino a quello del protagonista di questa dolorosa vicenda, la quale gli si avvicina per curiosità e gli rimane accanto per amore. Sarà lei una delle persone che lo aiuterà a morire a seguito della dura sconfitta processuale.
Il titolo del film è la citazione di un verso di una delle poesie che scrisse Ramón. E proprio questa poesia, “Mare dentro”, esprime probabilmente meglio di qualunque altra rappresentazione la tragicità della situazione di Ramón caratterizzata da un doppio conflitto inconciliabile, che, secondo Goethe, è proprio la cifra della condizione tragica.
In questa tragedia moderna, Ramón da una parte vive il conflitto tra desiderio di vivere e amare -che si sublima nel sogno- e la sua immobilità irreversibile, mentre dall’altra quello tra desiderio di libertà di scegliere e necessità di rispettare un codice giuridico.
Vi lasciamo invitandovi a vedere “Mare dentro”, se ancora non vi è capitato di farlo, perché è un film che non commuove solamente ma fa pensare, spinge inevitabilmente lo spettatore a una riflessione su questi temi profondi dell’esistenza umana. Nel frattempo, vi invitiamo a leggere le parole dello stesso Ramón Sampedro.
“Mare dentro”
Mare dentro,
mare dentro,
senza peso nel fondo,
dove si avvera il sogno:
due volontà fanno vero un desiderio nell’incontro.
Un bacio accende la vita
con il fragore luminoso di una saetta,
il mio corpo cambiato
non è più il mio corpo,
è come penetrare al centro dell’universo.
L’abbraccio più infantile,
è il più puro dei baci,
fino a diventare un unico desiderio.
Il tuo sguardo, il mio sguardo,
come un’eco che ripete senza parole:
più dentro,
più dentro,
fino al di là del tutto,
attraverso il sangue e il midollo.
Però sempre mi sveglio,
e sempre voglio essere morto,
per restare con la mia bocca
preso nella rete dei tuoi capelli.
Giulia Novelli