Credo che tutti, pensando a Merlino, si figurino nella propria mente un anziano mago dalla lunga e folta barba, vestito con un ampio abito turchese. Fa parte del nostro immaginario collettivo sin da quando siamo bambini, grazie al film Disney “La spada nella roccia”.
Probabilmente, però, non tutti sanno che le origini di questa leggendaria figura sono piuttosto lontane. La prima apparizione di Merlino la troviamo infatti in un testo medievale del XII secolo, la “Historia Regum Britanniae”, cioè la “Storia dei re di Britannia” (l’antico nome dell’attuale Gran Bretagna), scritta dal Geoffrey di Monmouth, arcidiacono di Monmouth (o di Saint Teilo a Llandaff) e vescovo di Saint Asaph.
Copertina di “Storia dei re di Britannia” di Geoffrey di Monmouth
nella traduzione italiana a cura di G. Agrati, L. Magini, ed. Guanda (2005)
Geoffrey di Monmouth in quest’opera si propone di raccontare la storia dei re della Britannia dal mitico eroe di Troia, Bruto, secondo alcune leggende eponimo della Britannia, sino a re Cadwaladr. È interessante che lo scrittore affermi nella prefazione che il suo lavoro si configura come una traduzione latina di un’opera molto antica scritta in lingua britannica, ricorrendo così a uno schema narrativo che avrà grande fortuna nella letteratura moderna e contemporanea, basti pensare ai “Sonnets from the Portuguese” di Elizabeth Barret Browning, a “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni o ancora a “Il nome della rosa” di Umberto Eco. Questo espediente provoca un cambio, uno spostamento nell’orizzonte delle aspettative del lettore dalla storia alla favola.
In effetti, già nel primo libro emerge chiaramente la natura fantastica del racconto: la Britannia è descritta come un locus amoenus in cui abbondano ricchezze, quasi un’anticipazione del paese di Cuccagna che nascerà dalla fantasia degli scrittori del XIII secolo.
Nel libro seguente inizia il racconto dei re che, come abbiamo detto, parte da Bruto, figlio del nipote di Enea. In questo modo Geoffrey vuole sottolineare la radice comune tra i Romani e il suo popolo, per presentare la Gran Bretagna come una seconda Troia.
Un altro re di spicco è sicuramente Lear, del quale l’autore ci parla quasi attraverso una parabola, tipica della letteratura biblica, e la cui storia ispirò il “King Lear” di Shakespeare. Il ritratto di Re Lear che ci consegna Geoffrey di Monmouth è quello di una figura molto umana, soprattutto quando si lamenta degli imprevisti del caso e della fragilità dell’esistenza, abbandonandosi a una considerazione amara sul ricordo della felicità in tempi infelici. Sono parole che riecheggiano con forza nel V canto dell’Inferno dantesco, vv. 121-123, quando Francesca dichiarerà: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria».
Il racconto di Geoffrey ci trasporta poi nell’epoca della Britannia romana, dove ovviamente ci imbattiamo in Giulio Cesare, dipinto con tinte scure come un uomo avido. Gli ultimi due personaggi presenti nel testo sono Merlino e Artù, fondamentali per lo sviluppo del “Ciclo arturiano”.
Merlino nel cartone Disney “La spada della roccia”
Qui Merlino è soprattutto un profeta e un guerriero: l’autore dedica molti capitoli alla profezia e anche in questo caso afferma di aver tradotto un’opera precedente chiamata “Profezie di Merlino”. Ciò che colpisce di queste storie è la presenza del meraviglioso. Jacques le Goff, nel suo libro “Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale” (Edizioni Laterza, 1999) afferma che, mentre nell’Alto Medioevo il meraviglioso fu rifiutato, nel XII e XIII secolo vi fu «un’irruzione del meraviglioso nella cultura dei dotti». Uno dei motivi di questo recupero è che la Chiesa non temeva più questa cultura, la considerava meno pericolosa ed era quindi in grado di controllarla.
Nelle parole di Merlino non c’è Dio, questo tipo di meraviglioso è totalmente indipendente da Dio. Non esiste un singolo Autore, ma una molteplicità di forze. Merlino è senza dubbio un personaggio importante per Geoffrey che gli dedica anche una “Vita Merlini” in cui l’uomo ha caratteristiche abbastanza diverse: non è più un profeta ma un mago pazzo.
Anche nella descrizione di Artù troviamo i temi della profezia, in particolare legata a un sogno, e del meraviglioso che viene introdotto attraverso un mostro contro il quale l’eroe deve battersi. Anche in questo caso non siamo di fronte a un meraviglioso dai connotati cristiani, ma a un meraviglioso che mostra chiaramente la sua eredità pagana. C’è infatti, per esempio, una certa somiglianza tra Artù e Ulisse poiché i due accecano i propri nemici e, allo stesso modo, la storia della madre di Merlino ricorda da vicino quella tra Amore e Psiche di Apuleio.
Un fatto strano di questo meraviglioso medievale o, meglio, usando le parole di Le Goff, un carattere inquietante è «il fatto che nessuno si interroghi sulla sua presenza che è senza legame col quotidiano eppure è totalmente inserito in esso».
Come abbiamo accennato, tutta questa materia del meraviglioso medievale andò poi a confluire nel cosiddetto “Ciclo arturiano” o “Ciclo bretone” e da lì fu variamente ripresa entrando poi nella cultura popolare contemporanea anche attraverso la Disney.
Giulia Novelli
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