Il rituale contemporaneo è misto e confusionario, fatto di contaminazioni di attimi evanescenti e passioni multidisciplinari. E’ bello quindi leggere che tra le ultime tendenze anche la poesia sia diventata un’abitudine. Come se fossero disegni del nostro animo, le parole in versi riescono in poche righe a esprimere le virtuosità delle nostre sensazioni e permangono più a lungo nella mente, che quasi gli si aggrappa fino a lasciarsi possedere.
Tra gli schemi retorici più utilizzati nell’antichità, i poeti sceglievano frequentemente la forma della Priamel, una sorta di rassegna comparativa, dove ad alcuni oggetti o valori si contrappone un unico termine di paragone ritenuto a essi superiore. Per fare un esempio citerò la poetessa Saffo, fr. 16 Neri (vv. 1-4):
ο]ἰ μὲν ἰππήων στρότον οἰ δὲ πέσδων οἰ δὲ νάων φαῖσ’ ἐπ[ὶ] γᾶν μέλαι[ν]αν ἔ]μμεναι κάλλιστον, ἔγω δὲ κῆν’ ὄτ- τω τις ἔραται | Alcuni un esercito di cavalieri, altri di fanti e altri ancora di navi dicono essere sulla terra bruna la cosa più bella, io ciò di cui si è innamorati |
John William Godward, “In the Days of Sappho” (1904)
Il fuoco dell’innamoramento che sconquassa l’anima e come vento piomba sulle querce (come in un altro dei suoi versi) è ciò che Saffo preferisce rispetto alla passione delle armi o delle navi.
Nonostante questa scelta retorica non sia stata usata da uno dei poeti di lingua greca più noti del primo Novecento, Costantino Kavafis (Alessandria d’Egitto, 1863 – 1933), vorrei comunque appuntare alcune sue opere cercando di ricreare una sorta di mia Priamel personale delle sue stesse poesie. L’ultima che leggerete sarà la mia preferita. Non dirò niente di lui, poeta del Mediterraneo, lascerò che sia la sua voce a dirci chi era: un anticonformista del suo tempo, in tutti i campi, umani e artistici, dal terreno all’ideale. La sua gnome misterica risiedeva nell’amore per gli antichi e nella saggezza pagana, la sola attraverso cui riusciva a esprimersi liberando il suo genio.
Testa in marmo di Ulisse, dettaglio del Gruppo scultoreo di “Ulisse che acceca Polifemo”,
opera di Agesandro, Atenodoro e Polidoro (I a.C.)
Ed ecco la mia Priamel:
Alcuni amano svegliarsi al mattino con la salsedine tra i capelli “Mare al mattino, Fermarmi qui. Per vedere anch’io un po’ di natura. Luminosi azzurri e gialle sponde Del mare al mattino e del cielo limpido; tutto è bello e in piena luce. Fermarmi qui. E illudermi di vederli (e davvero li vidi un attimo appena mi fermai); e non vedere anche qui le mie fantasie, i miei ricordi, le visioni del piacere.” Altri preferiscono addormentarsi con il rimorso nella nostalgia degli amori passati e non vissuti “Pure, l’amore che volevi l’avevo io da darti; l’amore che volevo – lo dissero i tuoi occhi sciupati e diffidenti – l’avevi tu da darmi. Si sentirono, si cercarono i nostri corpi; compresero la pelle e il sangue. Ma ci nascondemmo, tutti e due sconvolti.” Altri ancora bramano la città, il duro lavoro e il brulicare del mercato alla prima luce del sole “Il primo passante che cammina; il grido gaio del primo venditore; lo spalancarsi della prima porta, delle prime finestre – sono il canto delle strade al mattino. I passi dell’ultimo viandante; il grido dell’ultimo venditore; porte e finestre che si chiudono – sono il canto elegiaco che si ode quando fa sera per le strade.” Ma per me sono la vita stessa e il viaggio, le cose più belle sulla terra “Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze. I Lestrigoni e i Ciclopi o la furia di Nettuno non temere, non sarà questo il genere di incontri se il pensiero resta alto e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, nè nell’irato Nettuno incapperai se non li porti dentro se l’anima non te li mette contro. Devi augurarti che la strada sia lunga. Che i mattini d’estate siano tanti quando nei porti – finalmente e con che gioia – toccherai terra tu per la prima volta: negli empori fenici indugia e acquista madreperle coralli ebano e ambre tutta merce fina, anche profumi penetranti d’ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi, va in molte città egizie impara una quantità di cose dai dotti. Sempre devi avere in mente Itaca – raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo sulla strada: che cos’altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.” |
Bekim Fehmiu e Irene Papas interpretano Ulisse e Penelope nella miniserie televisiva “Odissea” (1968)
Ognuno di noi ha la sua Itaca, il suo porto sicuro in cui rifugiarsi. Può essere un amico, come un luogo o un amante, e forse è proprio questo anche il segreto della poesia: tutto può essere tale, per chi ha occhi pronti a meravigliarsi e orecchie attente al suono dolce del linguaggio, qualunque esso sia.
Alessandra Busacca