Siamo a Lisbona nell’estate del 1938. Il sole sta calando sull’Europa. La città portoghese è sotto il controllo delle truppe salazariste e frequenti sono gli abusi, gli assalti, le violenze e le intimidazioni. Tabucchi ambienta il suo romanzo “Sostiene Pereira” all’interno di una delle ferite più dolorose della storia.
Il titolo, che dal punto di vista semiotico è una sorta di diorama del testo, in quanto luogo in cui viene condensato tutto il suo significato, ci dice subito quale sarà il centro di gravità del romanzo: Pereira.
Pereira è un personaggio che torreggia all’interno della produzione tabucchiana ed è l’asse attorno a cui ruota l’intera narrazione.
Il “dottor Pereira”, così viene chiamato, è un vedovo cardiopatico e grasso che dirige la pagina culturale di un modesto quotidiano cattolico portoghese, il “Lisboa”.
All’inizio del romanzo Pereira viene descritto come un uomo banale, svolge il suo lavoro, beve le sue limonate al Café Orquìdea, ha due o tre persone con cui scambia quattro chiacchiere ogni tanto, ma le sue frequentazioni più assidue sono col passato: ogni giorno parla al ritratto della moglie morta.
Illustrazione di Maria Marcellino
Pereira vive nel passato: attorno a lui sta prendendo forma una catastrofe, ma egli si rifugia nella lettura di romanzi francesi ottocenteschi. Candidamente dichiara a proposito dei principi del “Lisboa”: “siamo apolitici e indipendenti, però crediamo nell’anima”. Il pensiero fisso di Pereira è la morte ed è proprio grazie a questo suo interesse un po’ morboso che fa l’incontro che cambierà la sua esistenza, che gli inietterà nelle vene una dose considerevole di vita.
L’Incontro è con un giovane ragazzo di origini italiane, Monteiro Rossi, che viene ingaggiato da Pereira per scrivere sulla sua pagina di cultura. Monteiro Rossi è l’anti-Pereira, è giovane, in forze, combattivo, dissidente e calato anima e corpo (anche se lui non si interessa di anima) nel presente. Assistiamo quindi a un cambiamento lento ma non più rimandabile del nostro protagonista. Un cambiamento radicale che lo porterà a compiere alla fine del romanzo un atto di ribellione contro la dittatura.
Copertina di “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi,
Universale Economica Feltrinelli
“Sostiene Pereira” è un libro di notevole fascino per varie ragioni. Innanzitutto, lo stile di Tabucchi è caratterizzato da una capacità evocativa fuori dall’ordinario: la dimensione coloristica e olfattiva dei luoghi descritti non è solo significativa, ma addirittura preponderante. In secondo luogo, Tabucchi ci racconta una storia di maturazione anomala, tardiva, quella di una persona anziana, peraltro messa in moto da un giovane.
Infine, e questo sembra il punto più interessante di questo coraggioso romanzo, assistiamo alla nascita di una coscienza civile e politica in Pereira. L’uomo si rende finalmente conto che la cultura, slegata, sganciata dalla dimensione politica e sociale non serve a niente, non vale niente. Pereira finalmente sente tutta la pressione della storia e compie una scelta, una di quelle scelte che, quando la storia premeva sugli uomini, definivano l’identità di una persona, come ci ricorda in altri contesti Paolo Di Paolo nel suo libro “Tempo senza scelte” (Einaudi, 2016).
Pereira dunque lascia da parte la cultura d’evasione per far spazio ad una cultura d’invasione. Forse arriva a suo modo a conciliare la propria visione della cultura con quella di Kafka quando in una lettera a Oskar Pollak (1903) scrive:
“Bisognerebbe leggere, credo, soltanto libri che mordono e pungono. Se il libro che stiamo leggendo non ci sveglia come un pugno che ci martella sul cranio, perché dunque lo leggiamo? Buon Dio, saremmo felici anche se non avessimo dei libri, e quei libri che ci rendono felici potremmo, a rigore, scriverli da noi. Ma ciò di cui abbiamo bisogno sono quei libri che ci piombano addosso come la sfortuna, che ci perturbano profondamente come la morte di qualcuno che amiamo più di noi stessi, come un suicidio. Un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi”.
Giulia Novelli