STAI ZITTA, una guida al femminismo

Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più è un pamphlet scritto da Michela Murgia e pubblicato da Einaudi nel 2021. È un libro militante dal taglio divulgativo che delinea i rudimenti del femminismo, potremmo definirlo una sorta di grammatica del femminismo.

È un libro piccolo e leggero, si legge in un pomeriggio, ma è tagliente come un’ascia che con parole e ragionamenti affonda i pregiudizi che purtroppo tutti, donne e uomini, ci portiamo dietro, consapevolmente o meno. Essere donna, nella nostra società, è qualcosa di problematico, benché noi donne siamo il 50% della popolazione mondiale. Non siamo dunque una minoranza emarginata, ma in molti aspetti ci troviamo sicuramente ai margini: si pensi ai luoghi di potere come la politica, i consigli di amministrazione, le prime pagine dei giornali, i rettorati delle università, ambienti in cui le donne non ci sono o rappresentano una misera minoranza. Allora, Murgia lo dice chiaramente, o le donne sono meno capaci degli uomini o c’è qualcuno che la pensa così, tertium non datur.



Copertina del libro di Michela Murgia, “Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più”
(Einaudi, 2021)

Il titolo, che è il luogo dove viene racchiuso e condensato il significato del testo, ci palesa subito che si parla di parole, che si partirà dalle parole per ricostruire un itinerario di disuguaglianze e sessismo. È un libro che parte dalle parole per due ragioni. Da un lato perché, come afferma Murgia, “di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva”, e dall’altro perché le parole creano e definiscono il mondo. Il filosofo Ludwig Wittgenstein a questo proposito disse: “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”, intendendo dunque che le parole servono per costruire la realtà, la quale appunto è delimitata dalle parole che conosciamo.

Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più delinea dieci modi in cui le donne vengono zittite, a livelli diversi, con violenza diversa. Si parte proprio da “Stai zitta”, l’imperativo sessista più diretto, con cui, non di rado e non eccezionalmente, alcuni uomini tentano di ridurre al silenzio le donne durante confronti o contraddittori. Murgia poi confuta la concezione diffusa secondo cui le donne abbiano già raggiunto la libertà che permette loro di rivestire incarichi importanti e di svolgere qualsiasi tipo di impiego, sintetizzabile nella frase “Ormai siete dappertutto”. Basta solo guardare i dati e contare il numero delle donne in posizioni di potere per rendersi conto che non è vero. E la strada verso il raggiungimento della parità di genere è ancora lunga.

Uno dei capitoli che mi ha colpito di più, anche perché mi ha fatto rendere conto che inconsapevolmente anche io avevo introiettato degli schemi sessisti, riguarda il modo in cui ci si riferisce alle donne, il modo in cui sono chiamate. Spesso donne professioniste vengono chiamate con il loro nome di battesimo, quando con i loro colleghi maschi viene usato il cognome, se non il titolo della professione. Quante volte leggiamo sui giornali o ascoltiamo nei dibattiti che donne della politica o professioniste sono chiamate solo con il loro nome, come se fossero nostre amiche o parenti: “Virginia”, “Giorgia”, “Maria Elena”, “Concita”, etc? Murgia spiega il fenomeno così: “Pare che una donna che occupa una posizione sociale prestigiosa per gli italiani rimanda un evento talmente alieno da scatenare all’istante il bisogno di ricondurla a un ambito di familiarità e contenzione, quantomeno verbale.”

E prosegue tagliente: “Nel caso in cui si riesca nel difficilissimo esercizio di pronunciare un cognome di una Donna, l’italiano medio deve aggiungerci un articolo determinativo: la Boschi, la Raggi, l’Azzolina, la Clinton, la Merkel. Applicare a un cognome di donna l’articolo determinativo significa comportarsi con un nome di persona come ci si comporterebbe con un nome di cosa o con un’entità spersonalizzata, una specie di fenomeno paranormale che fa categoria a sé.”

Devo ammettere di aver usato l’articolo determinativo davanti ai cognomi femminili e di non aver fatto lo stesso coi cognomi maschili. Ammetto di non essermi mai scandalizzata, fino a poco tempo fa, quando i giornali nazionali, per esempio, chiamavano un gruppo di scienziate “Le ragazze del microscopio”, un altro modo per sminuire la professionalità delle donne, per ridurle ad eterne adolescenti che devono imparare ancora tutto.

Un’altra tendenza diffusissima nella nostra società che la scrittrice osserva e spiega con grande chiarezza è quella della “mammizzazione” della donna che innanzitutto deve essere mamma, deve cioè assolvere al compito che la cultura patriarcale le impone, procreare. Sembra impossibile non chiedere a una donna di successo come faccia a conciliare lavoro e famiglia, domanda che sarebbe impensabile, invece, rivolgere ai colleghi maschi. L’autrice prende poi in considerazione altre questioni come il “mansplaining” o “minchiarimento”, cioè l’atteggiamento paternalistico di alcuni uomini di spiegare alle donne cose ovvie o concetti di cui loro sono esperte, la volontà del patriarcato di far vacillare la solidarietà femminile, il “cat calling” e così via.

Come dicevamo all’inizio, Stai zitta è un libro divulgativo, un’introduzione ai cardini del femminismo, una piccola ma utilissima guida per orientarsi consapevolmente nella nostra società, per saper leggere le discriminazioni ed essere in grado di riconoscere il sessismo, in noi e negli altri. Stai zitta è una guida all’uso delle parole, perché le parole sono importanti e creano mondi.

Giulia Novelli

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