Paolo Di Paolo nel 2016 ha scritto un libro, “Tempo senza scelte” (Einaudi, 2016), una commistione tra un saggio, una narrazione e un’invettiva in cui viene indagato il tema della scelta. Questa scelta va intesa come responsabilità, presa di posizione netta, come pietra posata per la costruzione della nostra identità.
Il titolo è un’affermazione che a prima vista potrebbe sembrare perentoria e indiscutibile, tuttavia già dalle prime pagine notiamo che il testo è costellato e intriso di domande, interrogazioni, dubbi. Di Paolo inizia il suo racconto partendo da sé, da una disamina della propria vita nell’ottica della scelta. Le sue sono state più che delle scelte, delle opzioni: “liceo classico o scientifico?”. Rispetto al tempo dei nostri nonni e bisnonni e delle generazioni che hanno vissuto appieno gli orrori del Novecento, certamente viviamo in un tempo in cui non ci vengono richieste delle scelte radicali, il nostro tempo non ci esige di compiere la scelta che dia forma alla nostra identità, mentre i nostri predecessori “non hanno fatto in tempo a chiedersi chi essere, che erano già qualcosa”.
Copertina del libro “Tempo senza scelte”
di Paolo Di Paolo, ed. Einaudi
Di Paolo poi, muovendosi con destrezza fra le trame di romanzi e le vite di filosofi e scrittori, esamina il tempo della scelta. La scelta ha un tempo, è intrinsecamente connessa al tempo, al momento giusto, al tempo che non lascia scampo. Ciò emerge chiaramente nel racconto della vita di Walter Benjamin, che per un soffio non riesce a superare la frontiera della salvezza, quella tra la Francia e la Spagna nel settembre del 1940, e l’unica scelta possibile per lui è stata quella di togliersi la vita. Oppure appare evidente nei romanzi di Antonio Tabucchi, grande amore di Di Paolo, in cui “i personaggi sono sempre lì sul punto di mettersi a correre dietro ai minuti, ai secondi, all’indietro e in avanti. Le date e i conti non tornano mai, c’è un rapporto tormentato tra la nostalgia e l’infinito, fra l’oggi e i nostri ieri.”
Il capitolo centrale del libro si chiama “Giovani temerari” e qui lo scrittore recupera le storie di alcuni giovani protagonisti dei tormentati decenni del secolo passato e ne interroga le vite. Piero Gobetti, precoce pensatore politico, grande antifascista, morto a 24 anni; Renato Serra; Federico García Lorca, ucciso a 38 anni dai franchisti, che nella poesia newyorkese “Città senza sogno”, ammoniva “No es sueño la vida. ¡Alerta! ¡Alerta! ¡Alerta!” (“Non è un sogno la vita. Sveglia! Sveglia! Sveglia!”). E infine i fratelli Hans e Sophie Scholl, giovani appartenenti alla “Rosa Bianca”, uccisi dai nazisti a soli 20 anni. Il motto di Sophie era “uno spirito forte, un cuore tenero”.
Federico García Lorca
Di fronte a queste vite, anche se soltanto accennate in queste poche parole, non si può non provare una forte commozione e ammirazione, ma anche una buona dose di vergogna e di inadeguatezza. Ciò accade perché queste donne e questi uomini sono stati degli eroi. Si tratta, dunque, dice Di Paolo, di un modello troppo distante da noi, che siamo persone comuni, e così nei capitoli seguenti lo scrittore, addentrandosi nel fitto bosco delle esperienze e delle scelte umane, prova a tracciare dei sentieri, ricerca delle strade più praticabili, più percorribili rispetto a quella delle vite eroiche.
Di Paolo dunque scruta l’orizzonte contemporaneo e indaga le scelte possibili e le modalità adatte a compiere tali scelte.
Il quarto capitolo, “Scegliere all’inferno”, comincia con l’ultima lezione americana di Calvino, quella che non riuscì a scrivere, di cui ci resta solo il titolo “Consistency” e la fonte d’ispirazione: il Bartleby di Melville. Paolo Di Paolo prova a immaginare il contenuto di quella che sarebbe stata un’altra lezione di vita: forse Bartleby ci insegna che “dire no, spesso, è il gesto di maggior coerenza” o “forse avrebbe detto che essere sé stessi fino in fondo può somigliare anche a un gesto di mitezza, a un silenzio”. Prendendo a esempio Calvino, Di Paolo illumina un altro punto centrale, quello dello sguardo. Poggiare lo sguardo sull’altro, in un mondo ricco di indifferenza, può essere una delle Scelte del nostro tempo. “Tenere gli occhi aperti” di fronte alla sofferenza altrui, davanti agli sbarchi sulle nostre coste meridionali, per esempio.
Il penultimo capitolo, “La scelta di uno scrittore” si apre poi con l’esperienza di Zerocalcare, fumettista romano, e col suo “Kobane calling”, un “non-reportage”, come lo definisce l’autore stesso, sui suoi viaggi nel Kurdistan siriano. Scrittura impegnata, scrittura che crea sempre una tensione, un attrito con la realtà. Di Paolo lamenta il fatto che oggi c’è una vigliacca ritrosia da parte degli scrittori, ma in generale dei più, a essere seri per paura di sembrare “pesanti”. Così il nostro tempo è il tempo della risata, della finta ironia: si ride e si ghigna quando non c’è niente da ridere, “per paura di essere sentimentali siamo diventati stronzi”.
Ecco che il titolo del nostro libro, a questo punto, fa una capriola e si ritrova con un punto di domanda: Di Paolo si e ci chiede “Tempo senza scelte?”. No, evidentemente. Se la tendenza generale della nostra società è chiudere gli occhi davanti alle ferite del reale, insultare il prossimo sui social usando un nickname, essere contro qualcosa e non esserci, un’altra via è possibile. In questo contesto, una scelta possibile ed efficace è quella di essere per qualcosa e non contro qualcosa, di essere presenti.
“Tempo senza scelte” è un libricino di un centinaio di pagine, ma denso di riferimenti di letteratura, filosofia, storia e politica. È un libro importante perché ci ricorda che una scelta è possibile, che prendere una posizione è decisivo, che dobbiamo essere responsabili, cioè capaci di rispondere a ciò che ci troviamo davanti. Perché una risposta, che può anche configurarsi come una domanda, va sempre data.
Giulia Novelli